Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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Per i giovani non ci sono buone prospettive, rispetto ai propri genitori, di lasciare il mondo del lavoro con un assegno adeguato. In particolare a essere penalizzati sono gli autonomi. Ma la soluzione non è facile: a meno che il governo non abbia una bacchetta magica
Tra il 2010 e il 2070, la pensione arriverà con due anni di ritardo e la forbice ultima retribuzione/reddito e prima pensione si ridurrà di 25 punti percentuali. Un esempio. Un commerciante che nel 2010 si è pensionato a 65 anni e 7 mesi d’età, ricevendo una pensione pari al 72,1% dell’ultimo reddito, nel 2070 potrà pensionarsi a 70 anni e 2 mesi d’età per ricevere una pensione pari al 47% dell’ultimo reddito (nel 2020, la pensione, a 67 anni d’età, già è ridotta al 54,9% dell’ultimo reddito). Altro esempio. Un dipendente che nel 2010 ha lasciato il lavoro a 65 anni e 5 mesi per una pensione pari al 73,6% dell’ultima retribuzione, nel 2070 potrà pensionarsi a 67 anni e 5 mesi d’età per ricevere una pensione pari al 58,8% dell’ultima retribuzione (nel 2020, la pensione, a 67 anni, già è ridotta al 71,7%). A evidenziarlo è il Mef, dipartimento ragioneria generale dello stato, nel rapporto n. 25/2024 di giugno, con le tendenze del sistema pensionistico e socio-sanitario aggiornate al 2024. Nonostante oltre trent’anni di continue riforme (Amato, Dini, Prodi e Fornero le più note), resta drammaticamente attuale il problema dell’adeguatezza della futura pensione.
Vita da sogno per 437 mila pensionati. Sono persone che nell’anno 2023 hanno intascato dall’Inps una pensione conquistata entro l’anno 1984, cioè oltre 40 anni fa. La scala mobile, negli ultimi 25 anni, ha fatto crescere del 62% i trattamenti di pensione. In virtù della perequazione le pensioni vengono adeguate all’aumento del costo della vita (tasso inflazione Istat), ogni anno, al fine di salvaguardare il reale potere d’acquisto.
Le assicurazioni digitali integrate o incorporate, note anche come “embedded insurance”, rappresentano una delle innovazioni del mondo assicurativo. Si tratta di polizze progettate per essere integrate direttamente nei prodotti e servizi offerti da altre aziende, semplificando il processo di acquisto. In Italia è una formula che si sta diffondendo sempre di più ed è destinata a crescere anche in futuro. Secondo un sondaggio realizzato a livello globale da Boston Consulting Group (BCG), l’84% della Generazione Z (ovvero i nati tra la fine degli anni Novanta e il 2010) e il 75% dei Millennial (i nati tra l’inizio degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta) sarebbero disposti ad acquistare un prodotto di assicurazione integrata. Queste percentuali sono significativamente più alte rispetto al 59% della Generazione X (i nati tra il 1965 e il 1979) e al 46% dei Baby Boomer (i nati tra il 1945 e il 1964).
FinTech e criptovalute come leva per pulire il denaro sporco. Da un lato, le tecnologie finanziarie offrono opportunità significative per rendere i servizi finanziari più accessibili ed efficienti; dall’altro, però, è sempre maggiore la rilevanza e la diffusione del fenomeno delle frodi agevolate dall’uso di strumenti informatici. Per esempio, in casi recenti di truffe nel trading online o di tipo piramidale, i fondi sono stati trasferiti direttamente tramite criptoattività, senza passare per conti tradizionali, complicando l’individuazione degli illeciti.
Allarme rosso dai top manager di tutto il mondo per l’aumento dei fattori di rischio legati all’attività di impresa. A partire da quelli normativi e regolamentari che rappresentano oggi il principale ostacolo alla continuità operativa delle aziende. Senza trascurare il pericolo legato all’interruzione della catena di approvvigionamento derivante dai timori generati dalle tensioni geopolitiche mondiali. È quanto emerso dall’ultimo Global Risk Landscape 2024, l’indagine svolta dalla società Bdo su un campione di 500 top manager di tutto il mondo.
È costruttore-venditore anche chi appalta le opere. La società immobiliare può rispondere per i vizi rilevati nelle mura del singolo appartamento benché abbia affidato a terzi i lavori edilizi, anche attraverso una catena di subappalti che ha portato all’esecuzione dei manufatti. L’impresa, infatti, risulta proprietaria dei suoli, oltre che titolare dei permessi di costruire: per contratto ha la prerogativa di nominare il direttore dei lavori e deve dunque dimostrare di non avere il potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, se vuole evitare ogni responsabilità nei confronti di chi ha acquistato l’immobile. Così la Corte di cassazione civile, sez. seconda, nell’ordinanza 17955 del 28 giugno 2024.
Il responsabile della protezione dei dati (o Dpo, Data protection officer) è normalmente descritto come una figura chiave per l’applicazione della privacy in azienda e negli enti pubblici. Questi ultimi hanno sempre l’obbligo di nominare il Dpo, mentre per le imprese l’obbligo scatta nel caso di trattamenti su larga scala di dati sensibili, genetici e biometrici, quale attività principale, oppure di monitoraggio regolare e sistematico delle persone, sempre quale attività principale e su larga scala. Quando nominato, il Dpo gioca un ruolo multifunzione. Egli, infatti, deve: informare e consigliare imprese e P.a.; sorvegliare gli enti; agevolare le relazioni tra interessati (persone fisiche cui si riferiscono i dati) ed enti e imprese; facilitare i rapporti tra i medesimi enti e il Garante per la protezione dei dati.
Bilanci socio-ambientali secondo regole ad hoc. Con l’approvazione del decreto governativo di recepimento delle ultime norme Ue in materia, assume contorni definiti l’identikit delle imprese obbligate già dal 2025 a pubblicare il nuovo report sugli impatti socio-ambientali relativi alla propria attività. Il decreto legislativo, licenziato dal Consiglio dei ministri del 10 giugno 2024, arriva in recepimento della direttiva 2022/2464/Ue (la cosiddetta direttiva Csrd, Corporate sustainability reporting directive). Ossia l’atto che (mediante la modifica dell’omonimo provvedimento 2013/34/Ue sui bilanci d’impresa) ha, da una lato, ridenominato in “rendicontazione di sostenibilità” la dichiarazione non finanziaria cui le grandi società erano già tenute e, dall’altro, ne ha ampliato la portata, sia per il maggior spettro delle imprese ora chiamate a pubblicarla annualmente, sia per l’accresciuta quantità di informazioni chieste anche alle aziende storicamente obbligate.

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A fine anno scade un pacchetto previdenziale di uscite anticipate da oltre seicento milioni. Conferma difficile E il governo potrebbe essere costretto nuovamente a intaccare l’adeguamento all’inflazione degli assegni

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Affari tanti, ma per importi più ridotti. Il primo semestre 2024 del private equity italiano mette in mostra volumi e valori che viaggiano su binari separati. Basta guardare le serie storiche raccolte nell’analisi semestrale di Deloitte per giungere a questa sintesi: il numero delle acquisizioni condotte sul territorio italiano dai fondi che investono in capitale di rischio si è abbastanza consolidato – dal primo gennaio al 30 giugno 2024 sono state 196, nello stesso periodo dell’anno scorso erano state 194 e 189 nel 2022 – ma in termini di ammontare investito al contrario c’è una grande volatilità. Solo per citare le cifre più recenti: si va dai 55,1 miliardi di euro del secondo semestre 2022 (che si spiegano con la mega-operazione Benetton/Blackstone) ai 2,2 miliardi del primo semestre 2023; dai 13,9 miliardi del secondo semestre 2023 agli 8 miliardi del primo semestre 2024. Che, rispetto ai valori minimi di un anno fa, rappresenta comunque un deciso balzo in avanti.
Il paper di tre settimane fa è soltanto un’indagine conoscitiva sulle polizze catastrofali. E il tono usato molto soft. Ma, al di là di questi elementi, la verità è che l’Ivass – esaminando questo nuovo prodotto, obbligatorio per le Pmi dal 2024 – ha messo a nudo tutti i tipici difetti e i veri e propri trucchi cui spesso le compagnie di assicurazione ci hanno abituati. E che rendono la firma di un contratto un rebus per il sottoscrittore, costretto a barcamenarsi tra mille trabocchetti senza capire bene ciò che sta firmando.

La società italiana, come quella di tutti i Paesi ad alto e medio reddito, si è trasformata e invecchia. Ciò avrà grandi riflessi sul nostro modello di welfare e in particolare su pensioni, sanità e soprattutto sostegno per la non autosufficienza, considerando che gli ultra 65enni sono oggi il 24% della popolazione (14,16 milioni) e sono destinati a diventare oltre il 35% nel 2045/2050, gli ultraottantenni, oggi quasi 4,5 milioni, gli ultranovantenni (circa 800mila) e ultra centenari oggi oltre 20mila, destinati a raddoppiare. In questa sede ci occuperemo di pensioni. Per la previdenza anzitutto occorre correggere la riforma Fornero che, dopo aver introdotto il contributivo pro rata per tutti (compresi gli ex retributivi puri), ha mantenuto requisiti differenti per i misti cioè quelli che avevano maturato contributi prima del 31/12/1995, e i contributivi puri che hanno iniziato a lavorare dal 1/1/1996. In un sistema pensionistico a ripartizione, che sottende un forte patto intergenerazionale, sarebbe più giusto avere le medesime regole per le due platee mentre ora le prestazioni sono addirittura peggiorative per i contributivi puri; quindi le proposte che seguono si intendono applicabili in modo identico alle due platee.
Il presidente di Unipol assicurazioni è uno dei manager più abili nel navigare negli agitati mari della finanza. Il 31 maggio è stato nominato Cavaliere del Lavoro. Un riconoscimento che è il coronamento di anni di impegno nel mondo della finanza. L’ultimo periodo è stato molto movimentato per Cimbri. Recentemente la società bolognese ha portato a termine l’Opa su UnipolSai, assumendo la ragione sociale di Unipol assicurazioni (capitalizzazione oltre 7 miliardi). Quasi contemporaneamente, la compagnia è salita al 24% di Bper di cui era già primo azionista con il 19,8% del capitale. C’è stato poi il rafforzamento del gruppo assicurativo nella Popolare di Sondrio che ha gettato le basi per quel terzo polo tanto auspicato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. La compagnia ha sottoscritto uno share swap avente come sottostante il 4,77% del capitale. Il derivato non porterà a un aumento della quota, già prossima al tetto del 20%, per superare la quale è necessario il via libera della Bce. Tutte queste operazioni sono positive anche per i soci storici di Unipol, cioè le grandi cooperative che hanno potuto riportare significative plusvalenze.
Il Tesoro vende Mps: farà un ulteriore passo verso l’uscita definitiva dal capitale del Monte dei Paschi di Siena. In portafoglio c’è ancora il 26,73 per cento della banca senese, la più antica al mondo, ma ora che è stata risanata gli impegni con la Dg comp dell’Unione europea e con la Bce vanno rispettati. Il tema è un altro: chi compra? Martedì scorso, all’Auditorium della Tecnica di Roma, dove l’Abi ha riunito l’assemblea annuale, non c’erano quasi dubbi. Il candidato ideale è Bper Banca, anzi il suo grande azionista Unipol assicurazioni, che ha una quota importante anche nella Popolare di Sondrio. Dal lato Unipol i nodi sul tavolo sono probabilmente altri. Prima di tutto, il prezzo. Il Monte dei Paschi di Siena vale in Borsa, a venerdì scorso, 6,2 miliardi di euro. La quota residuale in mano al Tesoro si può quindi sommariamente valorizzare in 1.650 milioni di euro. Se, come si insiste a dire, via XX Settembre è incline a collocare a breve circa il 15 per cento della sua quota, si può stimare una contropartita di circa 930 milioni.
Meno capitali fermi sul conto corrente e maggiore attenzione agli investimenti. Negli ultimi anni, il rapporto tra gli italiani e il risparmio è cambiato, in meglio. Ma si può, anzi si deve, ancora migliorare. Anche perché, come conferma il quinto rapporto Censis-Assogestioni, gli investimenti rimangono per lo più confinati in titoli di Stato italiani, nonostante una maggiore conoscenza e informazione, anche a livello internazionale. E poi, rimaniamo un Paese sotto assicurato, con una spesa sanitaria «out of pocket» (comprende le prestazioni che prevedono un esborso da parte del cittadino) che nel 2022 è stata superiore ai 40 miliardi di euro. Per curarsi, i cittadini spendono di tasca propria circa 1 euro su 4 della spesa sanitaria totale.