di Leandro Giacobbi

In data 22 luglio 2024 IVASS ha pubblicato il “Rapporto 2024 sui Rischi da catastrofi naturali e di sostenibilità”. Il Rapporto è annuale ed è alla seconda edizione e la rilevazione ha coinvolto tutte le 92 imprese di assicurazione nazionali operanti nel business danni e vita al 31 dicembre 2022, incluse le rappresentanze di imprese extra UE.

Questo quarto ed ultimo commento è dedicato alla parte del Rapporto che esamina gli investimenti ecosostenibili delle imprese di assicurazione del mercato italiano. Innanzitutto, il Rapporto presenta, al 31 dicembre 2022, l’ammontare degli investimenti totali delle imprese che hanno partecipato al monitoraggio. Le cifre sono significative, permettendo di comprendere il ruolo di grande rilevanza del settore da un punto di vista economico e sociale, dato gli investimenti totalizzano circa 860 miliardi di euro (94% del totale investimenti delle imprese vigilate a fine 2022 pari a 914 miliardi di euro). Il 61% degli investimenti (circa 521 miliardi) è costituito da obbligazioni governative e corporate e il 15% da azioni e altri strumenti di partecipazione (circa 131 miliardi); il restante 24% (circa 209 miliardi) è costituito da immobili, contante (e equivalenti), prestiti ipotecari e fondi d’investimento.

LE STRATEGIE D’INVESTIMENTO ESG

La strategia d’investimento più diffusa (adottata da 57 imprese sulle 67 che dichiarano l’adozione di una politica di investimenti sostenibile, rappresentanti l’80% degli investimenti di mercato) è costituita dall’esclusione di imprese, settori economici e Paesi dall’universo degli investimenti ammissibili, sulla base di criteri di carattere ambientale, sociale e di governance. I criteri di esclusione maggiormente utilizzati sono, nell’ordine, i fattori sociali, quelli di natura ambientale e di governance.

Il Rapporto precisa meglio questa politica di esclusione dagli investimenti, precisando che per “fattori sociali” ci si orienta principalmente ai settori/Paesi produttori di armi controverse (per esempio mine antiuomo) e ai Paesi/imprese che non rispettano i diritti umani, civili e politici. Per i fattori di natura ambientale, il carbone e l’estrazione di petrolio da fonti non convenzionali sono i criteri più utilizzati. Per la governance l’unico criterio di esclusione è rappresentato dalla corruzione.

INTEGRAZIONE DEI FATTORI ESG NELLE POLITICHE DI INVESTIMENTO

Al 31 dicembre 2022 il 75% delle imprese vigilate dichiara di aver adottato una politica di investimenti sostenibile. In particolare, hanno risposto in tal senso tutte le 11 imprese miste operanti del settore e la quasi totalità delle imprese vita (27 su 28), nonché più della metà delle imprese danni (29 su 51).

La motivazione più comune della mancata adozione di politiche sostenibili è legata alla scarsa rilevanza dei rischi di sostenibilità, trattandosi di imprese molto piccole con portafogli composti per lo più da titoli di Stato oppure facenti parte di un gruppo in cui la gestione degli investimenti è delegata alla società capogruppo.

Tra le motivazioni sottostanti all’adozione di strategie di investimento sostenibili (Figura 20 del Rapporto), le più ricorrenti sono: la volontà di fornire un contributo allo sviluppo sostenibile (85%), la necessità di gestire in maniera più efficace i rischi finanziari (82%), allinearsi alle richieste del mercato (64%), contenere il rischio di reputazione (57%). Solo il 15% delle imprese indica, tra le motivazioni, quella di migliorare il profilo di rendimento del portafoglio investimenti.

Va, però, anche sottolineata la percentuale del 23,9% riferita alla “pressione del regolatore” che permette di acquisire la consapevolezza di quanto influisca sulle scelte strategiche d’investimento sostenibile la presenza di un “regolatore” attento e invasivo positivamente su questa materia.

OBIETTIVO DI DE-CARBONIZZAZIONE DEL PORTAFOGLIO INVESTIMENTI

Solo metà delle 67 compagnie di assicurazione che adottano una politica di investimenti sostenibili ha dichiarato di aver fissato un obiettivo di de-carbonizzazione del portafoglio investimenti. Tale obiettivo è generalmente in linea con quello fissato dall’Accordo di Parigi, che prevede emissioni nette nulle di gas serra entro il 2050. Tali imprese, tuttavia, costituiscono una quota di mercato rilevante (67% in termini di investimenti totali).

TASSONOMIA UE DEGLI INVESTIMENTI: PRINCIPALI EVIDENZE

Le compagnie hanno anche fornito i dati relativi alla quota degli investimenti ammissibili per la Tassonomia UE in materia di investimenti ecosostenibili, con riferimento all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2022.

Per i non addetti ai lavori, la Tassonomia è una classificazione comune a livello UE (Regolamento 2020/852) delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale. È concepita come strumento per guidare le scelte di investitori e imprese in vista della transizione verso una crescita economica priva di impatti negativi sull’ambiente e, in particolare, sul clima. Le attività sono selezionate in base alla possibilità di contribuire a sei obiettivi ambientali identificati dalla Commissione Europea:

  1. mitigazione del cambiamento climatico;
  2. adattamento al cambiamento climatico;
  3. uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine;
  4. transizione verso l’economia circolare, con riferimento anche a riduzione e riciclo dei rifiuti;
  5. prevenzione e controllo dell’inquinamento;
  6. protezione della biodiversità e della salute degli eco-sistemi.

Per essere eco-compatibile, un’attività deve soddisfare quattro criteri:

  1. contribuire positivamente ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali;
  2. non produrre impatti negativi su nessun altro obiettivo;
  3. essere svolta nel rispetto di garanzie sociali minime (per esempio, quelle previste dalle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro – OIL);
  4. rispettare i criteri tecnici identificati da atti delegati adottati dalla stessa Commissione Europea.

Dopo questa premessa, il Rapporto informa che, sebbene la qualità dei dati sia nettamente migliorata rispetto alla precedente edizione del monitoraggio, permangono le difficoltà legate alla scarsità dei dati necessari al calcolo dell’Indicatore Principale di Performance (KPI) relativo agli investimenti ecosostenibili. Con riferimento agli investimenti ammissibili hanno fornito il dato, ponderato per il fatturato, il 75,5% delle compagnie (68 imprese), mentre quello ponderato per le spese in conto capitale è stato fornito da 58 compagnie (64,4%); tali imprese hanno dichiarato di essere state in grado di raccogliere dati in media solo sul 22% degli investimenti nel settore privato (il dato ponderato sul totale degli investimenti del mercato è pari a poco più del 19%).

Segnalando che il Rapporto IVASS sugli investimenti ESG è estremamente ampio ed esaustivo, suggerendo una sua completa lettura, emerge da questa sintesi un comparto industriale “in cammino” e, tenuto conto delle sue rilevanti dimensioni finanziarie, il nostro augurio è che la politica degli investimenti prosegua sulle linee tracciate con sempre maggiori volumi e convinzione.

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