Nell’ultimo trimestre i prestiti al settore privato sono calati di 12 miliardi di euro, dai 1.713 miliardi di febbraio ai 1.701 miliardi di maggio e i soli finanziamenti alle aziende sono calati di 7 miliardi in appena tre mesi.
È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa secondo cui la tendenza è di una profonda riduzione della liquidità fornita dalle banche all’economia reale, con tutte le conseguenze su produzione, investimenti, consumi, crescita economica e occupazione.
La Bce, osserva il Centro studi di Unimpresa, sta togliendo il fiato alle imprese e alle famiglie: l’andamento degli impieghi nell’ultimo periodo rivela una situazione di credit crunch in atto, come segnalato recentemente dalla Banca d’Italia: a diminuzione del credito al settore privato non finanziario, in atto dallo scorso dicembre, è proseguita in maggio (-2,6%, sui tre mesi e in ragione d’anno). Si è accentuata la riduzione dei prestiti alle famiglie (-2,1%, da -0,2% in febbraio) ed è proseguito il calo del credito alle società non finanziarie (-4,2%, da -8,1% in febbraio). La flessione continua a riflettere il rialzo dei tassi di interesse e le minori necessità di finanziamento per investimenti; vi hanno contribuito anche i criteri di offerta divenuti più stringenti.
Secondo gli analisti di Unimpresa “il fatto che i criteri di offerta del credito da parte delle banche siano divenuti più stringenti merita particolare attenzione, perché racconta un cambio di passo strategico all’interno del settore bancario: se, da un lato, il costo del denaro più alto fa crescere il margine d’interesse, e quindi ricavi e utili, dall’altro lato, le concessioni di credito diventano, proprio a motivo dei maggiori tassi applicati alla clientela, più rischiose. Ne consegue che ottenere finanziamenti, anche a costi più pesanti, potrebbe talora risultare addirittura impossibile”. Il Centro studi di Unimpresa ritiene che “la lotta intestina alla Banca centrale europea sia plasticamente rappresentata dagli stessi protagonisti. Gli effetti della politica monetaria, di là dalle divisioni interne tra i decisori della zona euro, sono sotto gli occhi di tutti: se l’aumento del costo del denaro trae fondamento dalla necessità di contenere l’inflazione, con l’obiettivo di portarla al 2%, la realtà con cui si fanno i conti oggi racconta effetti collaterali non imprevedibili e decisamente pericolosi. L’aumento dei tassi d’interesse non solo comporta, sia per le imprese sia per le famiglie, un maggior costo per i “vecchi” debiti, ma riduce sensibilmente le prospettive per l’accesso al credito futuro”.