Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
Se la famiglia Del Vecchio decidesse effettivamente di salire a ridosso del 20% di Generali Assicurazioni, partendo dal 9,7% attuale, dovrebbe sborsare circa 3 miliardi. Almeno ai prezzi di ieri quando, sulla scia della notizia del semaforo verde dell’Ivass a Delfin per superare la soglia del 10% fino a portarsi a ridosso del 20% -anticipata da Repubblica- il titolo del Leone si è infiammato, chiudendo gli scambi in rialzo del 3,38% a 19,25 euro. La notizia ha colto di sorpresa Trieste, dove non avevano avuto nessuna segnalazione della richiesta, ma l’ipotesi per ora resta solo sulla carta hanno precisato da Delfin: «la richiesta presentata all’Ivass in data 17 aprile 2023, al fine di poter esercitare diritti di voto per più del 10% in Generali, si è resa necessaria in conseguenza del piano d’acquisto di azioni proprie avviato da Generali nell’agosto del 2022 e implementato nei mesi successivi», hanno dichiarato dalla società guidata da Francesco Milleri aggiungendo che ciò «non sottintende alcuna particolare strategia di Delfin, se non quella di agire in conformità alle regole rispetto alla propria posizione quale azionista della compagnia assicurativa triestina».
La spiegazione più semplice è spesso anche la più verosimile. La nota diffusa ieri da Delfin sembra ispirata al metodo del rasoio inventato dal filosofo scolastico Guglielmo di Occam. L’autorizzazione richiesta all’Ivass per salire fino al 20% delle Generali potrebbe essere una mera tecnicalità, la conseguenza cioè del piano di buy back avviato dalla compagnia nell’agosto del 2022 e implementato nei mesi successivi. Avendo involontariamente superato la soglia del 10% la holding della famiglia Del Vecchio ha dovuto bussare all’authority per ottenere l’autorizzazione a salire nel capitale. La spiegazione però convince solo in parte. E non solo perché da un holding con 12 miliardi di attivi non ci si aspetta certo sviste di questo tenore, ma soprattutto per la tempistica dell’annuncio. In primo luogo il ceo di Generali Philippe Donnet, la cui rielezione lo scorso anno fu duramente osteggiata dai Del Vecchio e da Francesco Gaetano Caltagirone, è quasi arrivato a metà mandato, una scadenza solitamente molto sensibile per i top manager.
Il settore dell’Insurtech non riuscirà a raggiungere l’obiettivo di 1 miliardo di investimenti che era stato preventivato per il 2023. Colpa dell’aumento dei tassi d’interesse, che ha fatto salire il costo del denaro, ma anche dell’andamento del ramo Vita che, come rilevato da Ivass nei giorni scorsi, per la prima volta dopo 10 anni ha chiuso il 2022 in perdita per 400 milioni. A rivedere le stime è stata l’Italian Insurtech Association (IIA) che ralizzata interviste tra i ceo delle assicurazioni italiane, come spiega il presidente Simone Ranucci Brandimarte, ma anche tra i dipendenti e gli agenti «che chiedono di accelerare sulla formazione tecnologica» e tra i consumatori che «appaiono già pronti a sottoscrivere prodotti assicurativi usando il digitale».
A giugno c’è stato un brusco rallentamento delle immatricolazioni auto in Italia. Secondo i dati forniti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il mese scorso sono state immatricolate 138.927 veicoli, a fronte delle 127.232 iscrizioni registrate nello stesso mese dell’anno precedente, pari a un aumento del 9,2%. A maggio però le immatricolazioni erano cresciute su base annua del 23,2%. I trasferimenti di proprietà sono stati 417.251 a fronte di 370.840 passaggi registrati a giugno 2022, con un aumento del 12,5%. Il volume globale delle vendite mensili, pari a 556.178, ha interessato per il 25% vetture nuove e per il 75% vetture usate.
Delfin ottiene il via libera dell’Ivass a salire fino al 20% di Generali e si riaccendono le speculazioni intorno allo scontro che fino all’anno scorso, prima della scomparsa di Leonardo Del Vecchio, aveva visto schierati in prima linea, contro Mediobanca e il management, il patron di Luxottica e Francesco Gaetano Caltagirone per tentare l’assalto al Leone. La mossa di Delfin ha fatto volare il titolo Generali, arrivato a +5,60% per poi chiudere a +3,38%.
Prime multe in Europa per l’uso di Google Analytics. Il Garante della privacy svedese ha sanzionato due società che si servivano del servizio di statistica fornito dal colosso di Mountain View per monitorare l’accesso ai loro siti internet (almeno nella versione in uso ad agosto 2020). La contestazione ha riguardato il trasferimento di dati, tramite Google Analytics, verso gli Usa, e cioè verso uno stato che non garantisce un adeguato livello della privacy. In effetti, in base al regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (Gdpr), il trasferimento di dati non può avvenire verso paesi terzi che non garantiscono una protezione dei dati al pari del Gdpr. E gli Stati Uniti non sono un luogo sicuro per la privacy dei cittadini europei: lo ha stabilito la Corte di Giustizia Ue con la sentenza del 16 luglio 2020 nella causa C-311/18 e, da allora, le autorità politiche europee e americane non hanno ancora trovato una soluzione. Nel frattempo, in tutta Europa, imprese, piccole e grandi, e le pubbliche amministrazioni continuano a fare uso dei servizi di analisi statistica di Google in un quadro di persistente incertezza e di pericolo di sanzioni. Come è capitato a due società svedesi sanzionate con due provvedimenti del 3 giugno 2023, rispettivamente per un importo superiore a un milione di euro (caso 2020/11373) e superiore a 25 mila euro (caso 2020/11397).
Gli smart contract, cioè i contratti garantiti da tecnologia blockchain, non sono solo giuridici ma rispondono anche a profili tecnologici. Queste tipologie di contratti si dividono in due categorie: gli smart contract code e gli smart legal contract. Le loro caratteristiche cambiano in funzione della specifica tecnologia utilizzata; quest’ultima, infatti, consente di svolgere in via automatica molte attività e di registrare in modo sicuro e immutabile non solo il contenuto dei contratti, ma anche la loro vita, dalla fase negoziale a quelle di esecuzione. Lo scrive Banca d’Italia in un documento denominato «Caratteristiche degli smart contract», posto in pubblica consultazione sul suo sito il 30 giugno.
Delfin aggiorna il «peso» delle sue partecipazioni e il mercato scopre che la cassaforte della famiglia Del Vecchio ha superato la soglia del 10% dei diritti di voto (10,1% per la precisione) sulla sua quota in Generali. Si è così consumata una mattinata di rialzi in Borsa ed è ripartito l’appeal speculativo sul gruppo assicurativo e indirettamente anche su Mediobanca che del Leone è il principale azionista con il 13,10%. Una fiammata accesa dall’ipotesi che ripartano le manovre nella grande finanza. Il titolo di Trieste ha segnato il picco del +4,7% per poi chiudere con +3,8%. Mentre Piazzetta Cuccia ha terminato con +1,15%. Francesco Gaetano Caltagirone, socio con il 6,23% di Mediobanca e con il 6,23% di Generali, è l’altro sorvegliato dal mercato.
«Non ci piace l’idea di vendere un investimento in cui crediamo. Il buyback crea valore, perché rinunciare? Sarebbe un dispiacere». In casa Delfin l’investimento in Generali è seguito da vicino e l’arrotodandamento dei diritti di voto (che non riguarda il capitale sociale) per l’effetto del riacquisto di azioni varato dal Leone è visto come un puro fatto tecnico. Certo, questa partecipazione ha dato molte soddisfazioni alla famiglia Del Vecchio: solo nel 2022 ha rappresentato circa 250 milioni in termini di dividendi. Ora Delfin vorrà davvero crescere fino al 20% del capitale del Leone? Se lo farà dovrà mettere sul piatto altri 3 miliardi sulla base della capitalizzazione attuale della compagnia mostrando di concentrare molti dei suoi investimenti su Trieste. La cronaca di ieri non sembra il racconto di una scalata avventurosa. Il nulla osta dell’Ivass alla crescita in Generali sembra comunque aggiungere una carta in più a quelle disponibili della Delfin guidata dal presidente Francesco Milleri, il manager che Del Vecchio ha scelto per continuare la sua missione e che negli ultimi cinque anni ha consentito a EssilorLuxottica di crescere e di confermare la sua leadership mondiale. Molto dipenderà anche dagli orientamenti degli eredi di quella cassaforte che stanno mandando in porto la macchina dell’eredità.
Il risveglio del Leone fa salire tutti i titoli della galassia Mediobanca e riaccende il risiko bancario assicurativo a Piazza Affari. La notizia che l’Ivass ha autorizzato la Delfin della famiglia Del Vecchio a salire fino al 20% di Generali (+3,33%), anticipata ieri da Repubblica , ha riacceso un faro sul colosso delle assicurazioni tricolore, ma anche sulla controllata Banca Generali (+1,87%) e sul suo primo e storico azionista Mediobanca (+1,55%).
Delfin, il giorno dopo l’ufficializzazione del via libera Ivass a salire oltre il 10% di Generali, tende a gettare acqua sul fuoco. Solo un fatto tecnico, dice, causato dal buy back di azioni Generali che ha fatto superare la soglia del 10% e fatto scattare la richiesta dovuta per legge. In realtà questa versione minimalista della vicenda non convince la maggior parte degli osservatori e neanche la Borsa. Anche perché la possibilità per Delfin di poter salire sopra il 10% di Generali apre un ventaglio di opzioni per il futuro. Per esempio la possibilità di crescere attraverso la sottoscrizione di contratti derivati, oppure, come ha fatto Mediobanca all’assemblea Generali del 2022, facendosi prestare i titoli dal mercato in vista della scadenza dove si potranno esercitare i relativi diritti di voto.
Il metodo individuato, se si riuscirà nel tentativo, sarà il “gemellaggio” tra la singola banca collocatrice e la compagnia destinata a rilevare le polizze vendute ad oltre 350mila clienti retail. È uno dei passaggi dell’accordo sul salvataggio raggiunto alla fine della scorsa settimana: una clausola di “best effort” per realizzarlo, non un impegno vincolante. Una trattativa in cui le compagnie (UnipolSai, Poste Vita, Allianz, Intesa Vita e Generali Italia) hanno avuto buon gioco grazie alla loro posizione di forza al tavolo negoziale, anche per la mancanza di uno strumento consortile analogo al Fitd, che tutela i risparmiatori-depositanti in caso di crisi bancaria.
L’autorizzazione a superare la quota del 10% delle Generali, come recita il provvedimento Ivass, è stata incassata ma Delfin, di fatto, non ha mai superato quella soglia. Almeno per quanto riguarda il capitale sociale della compagnia. Diverso il discorso per quel che concerne i diritti di voto, ma anche in questo caso si è trattato solo di un attimo. In prossimità dell’assemblea del Leone, tenuta lo scorso 29 aprile, complice il programma di riacquisto di azioni proprie per complessivi 500 milioni avviato dal gruppo nel 2022, la holding della famiglia Del Vecchio si è trovata momentaneamente oltre quella soglia, e in particolare al 10,14% dei diritti di voto esercitabili. Ma è successo solo per poco perché mentre dalla finanziaria, era il 17 aprile, partiva la richiesta di autorizzazione a Ivass a eccedere la soglia, Generali – sempre lo stesso giorno – pubblicava la fotografia aggiornata del capitale che riportava sotto quel gradino la presenza di Delfin nel Leone. Non a caso, fonti vicine alla finanziaria hanno spiegato che la holding «non ha mai acquistato azioni negli ultimi tempi». A far mutare il quadro è stato il rapporto tra il numero di titoli detenuti in portafoglio e il capitale della compagnia nella fase in cui Trieste ha completato il buyback. Per Ivass infatti, oltre ai titoli realmente cassa, conta anche il peso sui diritti di voto. Delfin ha in sostanza colto l’attimo: ha fotografato una situazione temporanea e si è mossa per chiedere il sigillo dell’Autorità a quel movimento “involontario”. Al punto che ora, sempre in assenza di manovre in Borsa, la holding è al 9,99% delle Generali.
«Un conto investire miliardi per difendere il controllo di Essilor Luxottica, tutt’altra cosa investire cifre considerevoli fuori dal core business». Negli ambienti finanziari si liquida così la richiesta avanzata (e ottenuta) da Delfin all’Ivass per superare il 10% delle Generali. Con la famiglia spaccata sull’eredità, e ancora lontana da un accordo, Francesco Milleri si trova in una posizione molto delicata. Il manager scelto da Leonardo Del Vecchio per la guida di Delfin, la cassaforte della famiglia a capo del sistema che da Essilor porta a Mediobanca-Generali, si guarderebbe bene, soprattutto in questa fase particolare, di spendere anche un solo centesimo della pesante eredità lasciata dal fondatore dell’impero Luxottica. A meno che a rischio ci fosse l’asset core del gruppo, ovvero Essilor. La richiesta di salire oltre il 10% delle Generali, per diversi osservatori, sarebbe così da leggere esattamente come spiegato da Delfin in una nota ufficiale: ragioni di natura tecnica legate al superamento di quella soglia in modo involontario. Resta un fatto, però: Delfin ha una autorizzazione aperta che potrebbe comunque diventare un’arma negoziale importante in vista del delicato passaggio di ottobre, quando in agenda c’è l’assemblea per il rinnovo del board di Mediobanca.
La legge per la concorrenza del 2022 è in ritardo, non è nemmeno arrivata alle Camere. E l’Antitrust intanto invia a governo e Parlamento la segnalazione con gli interventi urgenti per la legge 2023, anch’essa prevista dal Pnrr. Le misure più forti vengono chieste per il settore postale: mettere a gara il servizio universale, oggi appannaggio di Poste Italiane, e limitarlo alla sola corrispondenza tra persone fisiche (eliminando anche i pacchi). Spazio anche per l’Rc auto, con la portabilità tra le diverse compagnie assicurative dei dati registrati sulle scatole nere dei veicoli. Si punta sulla libertà di pubblicità nel settore delle professioni sanitarie e arriva una stilettata alle camere di commercio: il garante chiede di limitarne le competenze in materia di rilevazione dei prezzi e delle tariffe, per evitare rischi di coordinamento restrittivo delle politiche di prezzo degli operatori attivi in quei mercati.