Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
La popolazione in Italia, al primo gennaio 2023, era di 58 milioni e 851 mila residenti. Ma nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dal dopoguerra, sotto il limite di 400 mila unità, arrivando a quota 393 mila. E i decessi sono stati 713 mila. Quasi il doppio. Nel 1950 l’aspettativa di vita era di 46 anni, oggi è di 72 anni. Ma questo significa più persone in pensione e meno persone in attività. La percentuale di popolazione in età lavorativa si sta già riducendo e, in Europa e negli Stati Uniti, ha già raggiunto il picco. Ogni anno, nel futuro prevedibile, il numero di lavoratori si ridurrà costantemente seguendo la stessa tendenza dell’invecchiamento della popolazione. In Italia si passerà da 35 milioni di occupati nel 2019 ai 27 milioni previsti nel 2070. Un calo di 8 milioni, cioè quasi un quarto di lavoratori che si metteranno a riposo e dovranno essere mantenuti dai pochi che continueranno a lavorare. Una situazione difficilmente sostenibile, senza profonde riforme strutturali. Infatti, è facile prevedere che si sia già chiuso il tempo dei pensionamenti anticipati (quota 100, secondo l’Inps, è stato un fallimento). Anzi. Secondo le stime dei demografi, nel 2030 l’età di pensionamento in Italia sarà di 68 anni. Un’età destinata a salire a 69 anni nel 2050 e a 71 nel 2070. E così via.
Sono oltre 27 milioni i residenti in Italia che hanno almeno 50 anni, di questi oltre 14 milioni hanno 65 anni e più. Nel 1992 questi valori erano, rispettivamente, pari a 19 milioni 177 mila e 8 milioni 780 mila. Nell’arco di trent’anni la popolazione con 50 e più anni si è, dunque, accresciuta di oltre 8 milioni di unità e la sua componente più matura è aumentata di oltre 5 milioni. Peraltro, nei prossimi trent’anni la percentuale di ultra 65enni aumenterà di undici punti percentuali e il rapporto tra la loro consistenza numerica e quella dei ragazzi meno che quindicenni raddoppierà. Di conseguenza, istituzioni e imprese rivolgono una sempre maggiore attenzione nella produzione di beni e nell’erogazione di servizi destinati a questa nuova grande economia, che ruota attorno ai consumi e ai bisogni della popolazione più avanti con l’età. Ma c’è il risvolto della medaglia: l’invecchiamento della popolazione comporta un incremento nella spesa pensionistica, sanitaria e assistenziale. Sono gli scenari delineati dalla terza edizione del paper “Silver Economy, la grande economia del prossimo decennio” curato dal centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali.
Sono 411 mila gli italiani milionari, ovvero persone che possiedono un patrimonio finanziario di almeno un milione di dollari (circa 800 mila euro): rappresentano meno dell’1% della popolazione. È quanto rileva lo studio “Global Wealth 2023: resetting the course”, il 23° rapporto annuale sulla ricchezza globale a cura di Boston Consulting Group (Bcg). L’Italia si posiziona come l’ottavo paese al mondo per ricchezza finanziaria, con un totale di 5.700 miliardi di dollari (poco più di 5 mila miliardi di euro). Nonostante una leggera diminuzione rispetto al 2021, gli asset reali mantengono gli stessi livelli, pari a 7.400 miliardi di dollari (6.500 miliardi di euro), mentre le passività hanno raggiunto i 900 miliardi di dollari (800 miliardi di euro). L’insieme di ricchezza finanziaria, asset reali e passività è cresciuto del 2,1% nel periodo 2017-2022, raggiungendo complessivamente il valore di 13.700 miliardi di dollari (quasi 12.200 miliardi di euro). Nel corso dell’ultimo anno, l’Italia ha raccolto l’11,6% della ricchezza finanziaria mondiale, l’11,7% degli asset reali e il 6,8% delle passività dell’Europa Occidentale.
All’Italia va il triste primato, in Europa, del numero di aziende in stress finanziario. Rispetto al 2021 la percentuale è cresciuta dal 5,7% al 6,9% sul totale delle imprese. A mettere in evidenza le tensioni finanziarie aziendali è il report semestrale della società globale di servizi professionali Alvarez & Marsal (A&M), che esamina la solidità di bilancio di oltre 7.000 società europee con un fatturato annuo superiore a 20 milioni di euro. Il Distress Alert (Ada) rileva che le difficoltà aziendali in Europa sono aumentate del 20% rispetto al periodo pre-pandemico. In dettaglio l’8,4% (era il 7% nel 2019), pari a 688 imprese, si trova in una situazione tale da dover ricorrere a un’azione di ristrutturazione. Il 27,7% di tutte le società valutate in Europa, ossia 2 mila aziende, ha bilanci che presentano debolezze.
Deducibilità variabile per il Tfm. Non solo, ma anche con una condizione fondamentale: è necessario che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. Il trattamento di fine mandato costituisce un costo per la società che lo abbia previsto e quantificato in sede di costituzione, o che sia stato deliberato dall’assemblea. Il costo per la società sarà deducibile per competenza se la delibera, adottata con data certa, sia precedente alla prestazione e al pagamento; mentre, in assenza di previsione statutaria o di atto a data certa, sarà deducibile dalla stessa società al momento dell’erogazione dell’indennità, secondo il principio di cassa. Per il percipiente, queste somme saranno assoggettate a tassazione separata solo nel caso in cui il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. Sono le conclusioni che si ricavano dall’ordinanza n.19445/2023 emessa dalla sezione quinta (tributaria) della Cassazione e depositata in cancelleria il 10 luglio scorso.