IL GRUPPO ASSICURATIVO HA ORMAI DIVERSI MEDIA PROPRI CHE AFFIANCA AI MEZZI TRADIZIONALI
di Giacomo Ghilardi
Il gruppo assicurativo Unipol, uno dei più importanti in Europa, ha scelto ormai da tempo di diventare anche una media company. Con una strategia iniziata dal 2016, grazie al lancio del blog magazine Changes, arricchita poi negli anni con le monografie cartacee di Changes (oltre 2.500 copie a numero), gli account corporate su LinkedIn (64 mila follower, oltre ai 54 mila del canale Assicurazioni), Twitter (51 mila follower), Facebook (37 mila corporate, più i 153 mila per il canale Assicurazioni), la collana di podcast Enigma, le stories su Instagram, le ricerche proprietarie e, ultimo arrivato, il canale di TikTok. L’iniziativa è in collaborazione con i TikToker Mathias Loi, Andrea Nuzzo, Marilù Casini, Matteo Albrizio e Andrea Borello che per l’account di Unipol creeranno contenuti su temi come, ad esempio, mobilità sostenibile, sicurezza informatica, welfare e lavoro per consentire al gruppo «di raccontare la nostra dimensione corporate alla gen Z», commenta Fernando Vacarini, responsabile media relations, corporate reputation e digital pr del gruppo Unipol. Ai contenuti dei creator si aggiungeranno, ogni settimana, pure quelli redazionali dedicati ai filoni trattati su Changes.
Naturalmente la strategia di Unipol come media company non insegue i grandissimi numeri, e continua a lavorare pure con i media controllati da terzi, ancora indispensabili. «I quotidiani, per esempio, rimangono uno strumento molto importante per una comunicazione business to business, con vertici aziendali che parlano ad altri vertici aziendali. La mia area», dice Vacarini, «si occupa dei media tradizionali, ma anche della corporate reputation. E ormai da tutte le principali ricerche emerge che gli owned media, i media di proprietà del brand, sono il miglior volano positivo per la reputazione aziendale. Quando il consumatore entra in contatto con questi mezzi, la reputazione del brand cresce. E quindi il cosiddetto brand journalism diventa una leva importante su cui investire sempre di più, concentrandoci, però, solo su contenuti di qualità».
Changes, al debutto nel 2016, non è infatti stata pensata come testata house organ, «ma affronta in maniera molto libera i temi della tecnologia, dello sharing, dell’ambiente, del welfare, della cyber security, della società 3.0. Non siamo autoreferenziali», prosegue Vacarini, «ma partiamo dall’Osservatorio sui rischi emergenti per parlare di sfide che riguardano il mondo, non solo Unipol, lasciando spazio a vari punti di vista, in totale libertà. Tanto per spiegarmi meglio, su Changes ci siamo spesso domandati se ad esempio sia giusto abbandonare il diesel a favore delle auto elettriche. E, sul nuovo canale di TikTok, un TikToker ha appena realizzato un contributo sul deep web in cui ovviamente, segnala i pericoli di questo universo, ma ricorda pure come il deep web, in molti paesi, consenta di bypassare la censura e di dare a tutti le informazioni che altrimenti non potrebbero mai avere».
Insomma, l’obiettivo di Unipol è quello di «posizionarci come thought leader, condividendo insight e idee che stimolino nuovi modi di pensare, accendano discussioni, ispirino all’azione». L’operazione su TikTok, perciò «va a completare il fil rouge della narrazione del nostro gruppo. È una platea di giovani in prevalenza 13-24 anni, con la quale noi, come tutti i grandi gruppi, facciamo più fatica a parlare. Ma è necessario farlo, la gen Z ha abitudini e propensioni all’acquisto molto diverse. I giovani», conclude Vacarini, «sono anche interessati ai nostri argomenti, ma con modalità, linguaggi e strumenti di comunicazione diversi. Non dobbiamo essere autoreferenziali, e soprattutto, bisogna veicolare solo contenuti di qualità, da declinare sulle varie piattaforme in base ai differenti target».
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