Ambiente. È la cifra minima che gli istituti perderebbero in caso di scenari climatici avversi, secondo il primo stress test Bce Per ora supervisori cauti, ma è possibile la stretta sulle regole
di Francesco Ninfole
Da tempo le banche sono diventate più attente ai rischi climatici, anche in vista di una maggiore attenzione sul tema da parte dei supervisori. In tal senso un passo significativo è stato fatto l’8 luglio, quando la Bce ha pubblicato i primi stress test sui rischi climatici. Dall’esame è emerso che le banche europee possono perdere oltre 70 miliardi. Le perdite, relative a 41 gruppi vigilati, si realizzerebbero in uno scenario di transizione disordinata (con un brusco aumento del prezzo delle emissioni di carbonio) che include anche inondazioni e siccità.
Per ora nessun impatto diretto sul capitale. Lo stress test sul clima non è stato un esercizio di adeguatezza patrimoniale come quelli fatti in passato dall’Eba. Inoltre non avrà alcun impatto diretto sul capitale delle banche, ma solo indiretto attraverso le valutazioni Srep. In ogni caso la Bce ha osservato che le perdite indicate sottostimano in modo significativo il rischio climatico effettivo a causa di alcuni fattori: la scarsità di dati disponibili, i modelli delle banche che catturano in modo rudimentale i fattori climatici, l’esclusione dagli scenari di una possibile recessione e le limitate esposizioni incluse nell’analisi (solo un terzo di quelle totali delle 41 banche). Inoltre i calcoli proposti dagli istituti non sono stati modificati dalla Vigilanza.
«Le banche dell’Eurozona devono urgentemente intensificare gli sforzi per misurare e gestire il rischio climatico, colmando le lacune nei dati e adottando buone prassi già presenti nel settore», ha commentato Andrea Enria, presidente della Vigilanza Bce. La maggior parte delle banche, ha osservato Francoforte, «non dispone di solidi quadri di riferimento per le prove di stress sul rischio climatico e denota la mancanza di dati».
I ritardi degli istituti. In base ai risultati dell’esame Bce, circa il 60% delle banche non fa stress test in ambito climatico. Inoltre la maggior parte degli istituti non include il rischio climatico nei modelli per il rischio di credito e solo il 20% ne tiene conto come variabile per l’erogazione di finanziamenti. Quasi due terzi dei proventi delle banche derivanti da aziende provengono da società ad alta intensità di gas a effetto serra. In molti casi le «emissioni finanziate» dalle banche derivano da un numero esiguo di controparti di grandi dimensioni.
Le lacune nei dati e il caso italiano. Le perdite cumulate per 70 miliardi «sono piuttosto limitate, date le condizioni dello stress test», osserva Lea Zicchino, senior partner di Prometeia. «Non si può escludere che in futuro la Bce sarà più severa sugli scenari». Per il momento, aggiunge, «mancano ancora molti dati, per esempio quelli sulle emissioni delle aziende o in certi casi anche sull’efficienza energetica degli immobili». Di conseguenza secondo Zicchino «le banche dovranno raccogliere dai clienti il maggior numero di informazioni disponibili e, quando non è possibile, migliorare le stime. Questa sarà una sfida soprattutto in Italia, dove ci sono molte pmi non quotate che non sono obbligate a comunicare dati».
L’Italia è inoltre particolarmente esposta sia ai rischi di transizione (dato il peso della manifattura nell’economia) che a quelli fisici (a causa delle caratteristiche del territorio, vulnerabile a inondazioni, terremoti e, come osservato negli ultimi giorni, siccità). Per questi motivi i gruppi italiani stanno accelerando sui rischi climatici. «Le banche sosterranno maggiori costi, ma alcune vedono anche le opportunità dello scenario, come quella di maggiori finanziamenti verdi», rileva Zicchino. «L’intenzione dei supervisori non è quella di ridurre il credito ai colossi dell’energia, ma di spingerli a ridurre le emissioni».
L’analisi di Bankitalia. Già prima dello stress test Bce, un’analisi della Banca d’Italia ha evidenziato che è in crescita il numero di banche italiane attente sui rischi climatici, anche se rimane «ancora insufficiente la diffusione di buone pratiche per la loro completa integrazione nelle strategie aziendali». Nel complesso, ha aggiunto Via Nazionale, «sono necessari ulteriori sforzi». Dall’indagine è emerso che il 13% delle banche valuta l’impatto del rischio climatico nella gestione del portafoglio crediti, mentre l’80% si propone di farlo in futuro. Il gruppo di banche che ha un maggiore ritardo è principalmente costituito da banche di credito cooperativo.
I prossimi passi della regolamentazione. Il timore di molti nel settore bancario è che in futuro siano definiti requisiti patrimoniali più stringenti legati al clima. Sul punto anche la Bundesbank si è mostrata finora scettica. Frank Elderson, vicepresidente della Vigilanza e membro del comitato esecutivo Bce, ha osservato che lo stress test va considerato come un primo passo. «I rischi legati al clima saranno come gli altri nel framework di supervisione», ha detto, aggiungendo che «servirà tempo per capire come affrontarli al meglio». Secondo Zicchino «prima o poi la regolamentazione internazionale potrebbe fissare requisiti di primo pilastro, ma al momento è troppo presto per questo passaggio, considerando le lacune nei dati. Le autorità vigilanza potrebbero invece proseguire con richieste individuali di secondo pilastro, come ha iniziato a fare la Bce nelle valutazioni Srep. Inoltre i supervisori potrebbero chiedere alle banche piani di transizione, chiedendo di ridurre nel tempo le emissioni finanziate». (riproduzione riservata)
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