COME INQUADRARE GLI ACCANTONAMENTI PER INDENNITÀ CONCILIANDO NORME CIVILISTICHE E FISCALI
di Giovanni Valcarenghi; e Raffaele Pellino
Rischio di contestazioni per la deducibilità del trattamento di fine mandato accantonato dalle società a favore degli amministratori; questo rimane uno dei dubbi che possono riguardare i bilanci in approvazione. Pur mancando una norma civilistica che disciplini la materia, è possibile che una società provveda ad accantonare una retribuzione differita a favore dell’organo amministrativo, monetizzabile solo alla cessazione dell’incarico. Ciò, a prescindere dal fatto che un amministratore venga nuovamente nominato alla guida dell’ente, in quanto ogni rapporto di amministrazione è autonomo e distinto da quello precedente, in quanto si fonda su un «atto di volontà» (la delibera di nomina), che si perfeziona con l’accettazione dell’incarico. È, pertanto, lasciata alla libera contrattazione delle parti la possibilità di corrispondere agli amministratori, al termine del loro mandato, una indennità quale compenso aggiuntivo a quanto stabilito, in via periodica, dallo statuto o dall’assemblea dei soci. Sul piano contabile, punto di partenza è la rilevazione dell’accantonamento, al termine dell’esercizio, in un apposito fondo. Il fondo per il trattamento di fine mandato deve essere iscritto tra i «Fondi per trattamento di quiescenza e obblighi simili» (voce B.1 del passivo patrimoniale) che rappresentano accantonamenti per i trattamenti previdenziali integrativi, diversi dal Tfr, nonché per le indennità una tantum spettanti ai lavoratori dipendenti, autonomi e collaboratori, al momento di cessazione del relativo rapporto. Si tratta, quindi, di fondi a copertura di oneri di natura determinata ed esistenza certa, il cui importo da riconoscere alla cessazione del rapporto è funzione della durata del rapporto nonché delle altre condizioni di maturazione previste dalle contrattazioni sottostanti (Oic 31, par.7). Nel conto economico gli accantonamenti ai fondi per trattamento di quiescenza e obblighi simili sono, in generale, rilevati nella «voce B.9.d», ancorché nella voce «B.7» sono rilevati gli altri accantonamenti relativi a trattamenti di fine rapporto, diversi da quelli di lavoro subordinato. In particolare, rientrano nella voce B.7 gli accantonamenti ai fondi indennità suppletiva di clientela, quelli relativi ai fondi indennità per la cessazione di rapporti di agenzia e rappresentanza, e i fondi di indennità per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. In calce all’Oic 31 sono riportate alcune interessanti indicazioni riguardo i «Fondi di indennità per cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa». Nello specifico, il principio contabile precisa che: a) rientrano in tale voce gli accantonamenti per le indennità percepite in caso di cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, tra cui appunto gli incarichi di amministratore; b) in alcuni casi, le società sono tenute a corrispondere una indennità di fine rapporto agli amministratori e, quindi, effettuano un corrispondente accantonamento in un fondo tenendo conto dei limiti e delle condizioni che il percettore dell’indennità deve rispettare per poter usufruire del relativo trattamento. Detta indennità, in alcuni casi, può essere subordinata al raggiungimento di certi obiettivi: in tal caso, l’accantonamento dovrà essere determinato in misura idonea al fine di costituire un fondo congruo alla indennità da corrispondere. Nella stima del fondo si tiene anche conto delle condizioni e degli obiettivi fissati nel piano di incentivazione che l’amministratore deve rispettare per poter usufruire del relativo trattamento. Un ultimo aspetto su cui vale la pena soffermarsi concerne l’indicazione in nota integrativa delle suddette informazioni. In particolare, l’articolo 2427, comma 1 del cod. civ. richiede di indicare in nota integrativa, tra gli altri: i criteri applicati nelle valutazioni delle voci di bilancio (n.1); le «variazioni» intervenute nella consistenza delle altre voci dell’attivo e del passivo nonché, per i fondi, la relativa formazione e le utilizzazioni (n.4); l’importo complessivo degli impegni esistenti in materia di trattamento di quiescenza e simili (n.9). Dette informazioni, limitatamente a quanto richiesto dall’art. 2427 comma 1 n. 9). devono essere fornite anche in sede di redazione del bilancio in forma abbreviata e del bilancio delle micro imprese. Punto di partenza di qualsiasi scrittura contabile deve essere costituito dalla delibera assembleare e dallo statuto societario; proprio il contenuto di tali documenti rappresenta il punto di frizione tra la dimensione civilistica e quella fiscale, in relazione alla possibilità di deduzione del costo.
L’esistenza di un atto con data certa facilita l’operazione
L’eterno dilemma che arrovella il fisco è la possibile esistenza di componenti negativi che siano immediatamente deducibili per la società e tassabili solo successivamente per il beneficiario; in realtà, è la stessa norma che prevede tale disallineamento in numerose casistiche. In ogni caso, per la deducibilità dell’accantonamento di fine mandato, l’amministrazione finanziaria e la Cassazione richiedono l’esistenza di un atto con data certa. Se, da una parte, il compenso percepito dall’amministratore (non professionista) segue il principio di cassa, dall’altra, l’indennità di fine mandato va dedotta secondo il principio di competenza. L’articolo 105 comma 1 del Tuir prevede che gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente sono deducibili in capo all’impresa nei limiti delle quote maturate nell’esercizio; ciò vale anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto. Pertanto, dal combinato disposto degli articoli 105 e 17 del Tuir deriva che gli accantonamenti al Tfm sono deducibili per competenza solo se il diritto all’indennità risulta da atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che si concentrano i maggiori malumori interpretativi. Assumendo una posizione rigida, infatti, l’Agenzia delle entrate (risol. 211/E/2008) ha sostenuto che la deducibilità dell’accantonamento Tfm è legata alle condizioni di cui all’articolo 17, comma 1, lett. c) del Tuir. In capo al percipiente, la tassazione separata trova applicazione solo se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. In mancanza di tale requisito viene meno la deducibilità per competenza e, pertanto, l’onere sostenuto dalla società può essere dedotto solo nell’anno di effettiva erogazione (criterio di cassa). Principio, questo, ribadito con la sentenza n. 19368/2018 secondo cui, in assenza di data certa, l’onere sostenuto dalla società risulta deducibile nell’esercizio di erogazione dell’indennità di fine mandato. Di recente la Cassazione (sentenza n. 13384/2020) ha precisato che, ai fini della deducibilità per competenza dell’accantonamento, è necessaria la preventiva formazione del verbale assembleare di nomina degli amministratori e la successiva accettazione da parte di costoro ovvero, in alternativa, una preventiva comunicazione sociale al singolo amministratore, avente data certa e contenente l’indicazione della volontà assembleare di nominare il destinatario della comunicazione come componente dell’organo di gestione, riconoscendogli il diritto al Tfm. In disaccordo con questa interpretazione l’associazione italiana dottori commercialisti (Aidc): con la norma di comportamento n.180 del 7/4/2011, infatti, si ritiene che l’accantonamento in bilancio sia sempre deducibile per competenza. Per l’Aidc, il regime di deducibilità per competenza è applicabile a prescindere dal fatto che il diritto all’indennità venga stabilito anteriormente all’inizio del rapporto, in sede di nuova nomina di amministratori il cui mandato è venuto a scadenza o in costanza di rapporto. Diversamente, il richiamo all’articolo 17 del Tuir deve essere inteso come mero riferimento alla natura dell’indennità, a nulla rilevando le condizioni poste da tale disposizione. In tal senso parte della giurisprudenza (Ctp di Brescia sent. n. 90/1/12).
Amministratori con criteri a sé
Per l’amministratore (non professionista), la norma di riferimento per la tassazione dell’indennità di fine mandato è l’articolo 17 comma 1 lett. c) del Tuir, disposizione che prevede il meccanismo di tassazione separata a condizione che il diritto all’indennità risulti da atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto. In mancanza di data certa, invece, la tassazione sarà ordinaria con evidente progressività dell’imposta.
Tuttavia, l’articolo 24, co. 31 del dl 201/2011 ha previsto alcune eccezioni all’applicazione della tassazione separata: si tratta delle indennità di importo eccedente il milione di euro, che scontano sempre la tassazione ordinaria.
Ne consegue che, per l’indennità di fine mandato degli amministratori è possibile operare la seguente stratificazione:
a) fino all’importo di un milione di euro, è applicabile la tassazione separata a condizione che il diritto risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto;
b) per l’importo eccedente un milione di euro si applica la tassazione ordinaria.
Una ulteriore disposizione proveniente dal citato comma 31 concerne il fatto che, a decorrere dal 2011, la tassazione ordinaria è da applicare in ogni caso a tutti i compensi e indennità erogati agli amministratori di società di capitali. Quest’ultima previsione ha dato luogo a non pochi dubbi interpretativi. Sul punto, la circolare 3/E/2012 ha precisato che detta disposizione intende confermare la ratio della norma, senza al contempo differenziarne l’applicazione con esclusivo riferimento agli amministratori di società di capitali. Anche nei confronti di questi ultimi, quindi, la disposizione in esame si applica ai compensi e alle indennità in denaro e in natura, comprese eventuali stock options, che eccedono l’importo di 1 milione di euro.
Nell’ambito dello stesso documento di prassi, l’Agenzia ha precisato, con riferimento alla verifica del superamento del limite previsto, che:
a) detta verifica va effettuata considerando le indennità erogate «al lordo» delle riduzioni e deduzioni previste dalle disposizioni in tema di tassazione separata;
b) la disposizione in esame è applicabile anche qualora il superamento del predetto importo si verifichi per effetto di erogazioni non contestuali nel corso del medesimo periodo d’imposta o di erogazioni effettuate in diversi periodi d’imposta.
Resta fuori, invece, dal campo di applicazione della deroga in esame l’ipotesi in cui le indennità siano erogati agli eredi dell’amministratore; sull’intero importo delle indennità percepite si continua ad applicare la tassazione separata, a nulla rilevando il superamento del limite di un milione di euro. Trattamento fiscale incerto anche nel caso di sottoscrizione (da parte della società) di una polizza assicurativa che, oltre a garantire i mezzi finanziari alla corresponsione dell’indennità di fine mandato agli amministratori, permette di ottenere una somma a titolo di rendimento finanziario (somma che, in capo alla società, è da qualificare come reddito d’impresa). In particolare, pur mancando un chiarimento ufficiale sulla questione è possibile sostenere che l’accantonamento al fondo Tfm sia deducibile per competenza.
Tuttavia, occorre fare delle distinzioni. Nel caso in cui beneficiario della polizza sia la società, i premi corrisposti alla compagnia di assicurazione non rappresentano un costo ma un credito vantato dalla società nei confronti di quest’ultima e, quindi, sono indeducibili. Se, invece, beneficiario delle somme è l’amministratore (o i suoi eredi), l’indennità avrà un trattamento fiscale più articolato. In particolare:
a) se la compagnia di assicurazione liquida il capitale direttamente all’amministratore (o ai suoi eredi) la stessa opera, per conto della società, una ritenuta del 20% a titolo d’acconto;
b) se l’assicurazione versa le somme necessarie al pagamento della ritenuta alla società ed il netto all’amministratore, sarà la società a dover versare la ritenuta sul totale del Tfm corrisposto. Inoltre, ove si rilevi una «differenza» positiva tra il capitale liquidato dall’assicurazione ed i premi versati dalla società, questa verrà assoggettata dall’assicurazione ad imposta sostitutiva.
Poiché tale differenza costituisce la base imponibile della ritenuta suddetta e rappresenta reddito per il soggetto percettore (beneficiario della polizza), ne deriva che tale reddito, essendo soggetto a tassazione alla fonte a titolo definitivo, non concorre alla formazione del reddito imponibile del percettore (Cm 14/1987).
La rinuncia porta a diverse conseguenze legate alla qualifica del socio
L’amministratore beneficiario dell’accantonamento ha sempre la possibilità di rinunciarvi; a fronte di tale certezza, sussistono dubbi in merito alle conseguenze fiscali di tale comportamento. In presenza di particolari situazioni aziendali, infatti, l’amministratore può decidere di rinunciare alle proprie spettanze, azzerando il relativo debito della società. Le conseguenze di tale rinuncia si differenziato in relazione alla qualifica o meno di socio dell’amministratore. Sul punto, la risoluzione 124/E/2017 ha precisato che: a) nel caso in cui la rinuncia al Tfm sia operata da un amministratore socio, trova applicazione l’articolo 88 comma 4-bis del Tuir e, pertanto, la rinuncia dà luogo a una sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Tuttavia, dal momento che si è in presenza di crediti per il Tfm dovuto a persone fisiche non esercenti attività di impresa e che non è, pertanto, ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale, la società partecipata non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva; b) nel caso in cui la rinuncia al Tfm è operata da un amministratore non socio, non trova applicazione il comma 4-bis dell’articolo 88 del Tuir.
Pertanto, se la società ha dedotto le quote di Tfm accantonate dovrà assoggettare a tassazione la sopravvenienza attiva. In caso contrario, la rinuncia non avrà effetto fiscale. Per i soci-amministratori, poi, la Cassazione (ord. 1335/2016) ha stabilito che l’importo del credito deve essere tassato in base al principio dell’incasso giuridico. Nel caso in cui gli amministratori soci abbiano rinunciato alle quote di Tfm accantonate dalla società patrimonializzando la stessa, i crediti rinunciati, che si intendono giuridicamente incassati, dovranno essere assoggettati a tassazione in capo ai soci persone fisiche non imprenditori, con conseguente obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte da parte della società. Per gli amministratori non soci, invece, sarà la società ad assoggettare a tassazione la sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia al Tfm nei limiti in cui abbia dedotto gli accantonamenti effettuati in passato, mentre, gli stessi amministratori, non sono assoggettati ad alcuna imposizione. Tuttavia, nell’ambito della norma di comportamento Aidc 201/2018 è possibile rilevare una differente tesi. Nel caso dell’amministratore socio, la mera remissione del debito non comporta alcun beneficio e non può essere assunta quale forma di utilizzo o godimento del diritto di credito. La mancata percezione, quindi, rende l’operazione fiscalmente ininfluente, in quanto non attribuisce alcun vantaggio economico. Il credito rinunciato ha un valore fiscale nullo, in quanto la fattispecie reddituale sottostante non ha mai concorso a formare la base imponibile del reddito dell’amministratore. Ne consegue che, per l’amministratore, la rinuncia del credito non comporta un incremento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Per quanto riguarda la società, che imputa a una posta di patrimonio netto l’ammontare del credito rinunciato dall’amministratore socio, secondo l’Aidc, trova applicazione l’articolo 88, comma 4-bis del Tuir, con la determinazione di una sopravvenienza attiva imponibile da assoggettare a imposizione mediante una corrispondente variazione in aumento in sede di dichiarazione.
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