CASSAZIONE
Dario Ferrara
È concorrenza sleale soffiare i dipendenti al competitor, ma soltanto se l’assunzione serve a rubare il know-how del concorrente. La violazione dell’art. 2598, terzo comma, Cc si configura quando la manovra serve a saltare a piè pari l’investimento in ricerca, assicurandosi uno staff pratico del settore, in modo da impedire al rivale di continuare a competere. E dunque lo storno risulta escluso quando i lavoratori passati in blocco da un’azienda all’altra non hanno conoscenze e professionalità esclusive al punto da renderli essenziali. È quanto emerge dalla sentenza 22625/22, pubblicata il 19 luglio dalla I sezione civile della Cassazione.


Niente da fare per la Spa che si proclama spogliata dall’altra: diventa definitiva la decisione che nega la sussistenza dell’illecito concorrenziale in una controversia sorta nel mondo della formazione. Manca la prova che alcuni dipendenti abbiano iniziato a collaborare con la seconda società mentre ancora intrattenevano rapporti con la prima. Non è corretto poi comprendere fra gli stornati i liberi professionisti che collaborano ai corsi: possono svolgere analoghe attività per altre società. Idem vale per i consulenti legali. La concorrenza sleale si verifica quando lo stornatore vuole appropriarsi del metodo di lavoro e dell’ambito operativo del concorrente attraverso un gruppo di dipendenti dell’impresa. Pesa l’obiettivo di crearsi un vantaggio competitivo ai danni del rivale, svuotandone l’organizzazione e assicurandosi le conoscenze di mercato acquisite negli anni. Inoltre, non si verifica, nella specie, lo svuotamento che impedisce all’azienda di competere sul mercato: il pregiudizio sussiste unicamente quando vengono meno nozioni tecniche con le relative professionalità che le rendono praticabili e solo se gli skill sottratti hanno carattere di esclusività.

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