AVER SEGUITO CALTAGIRONE PER DEFENESTRARE DONNET NON SI STA RIVELANDO UN AFFARE
di Andrea Deugeni
C’è stato l’intento di voler costringere, accorciando la distanza fra le posizioni belligeranti nel capitale delle Generali, i fronti capitanati da Mediobanca da una parte e Caltagirone dall’altra, ad aprire la stagione del dialogo dopo l’aspro scontro nell’assemblea d’aprile. Sia per il bene della compagnia assicurativa, che con 60 miliardi è tra i maggiori detentori di titoli del debito pubblico italiano e gestisce circa 700 miliardi di asset, nazionali ed esteri, sia per il bene del proprio portafoglio, visto che un’elevata conflittualità nella governance non aiuta lo sviluppo di un gruppo e il relativo andamento del titolo in borsa.
Ma l’aver seguito Francesco Gaetano Caltagirone nella scalata al Leone di Trieste per mettere alla porta Philippe Donnet non si sta certo rivelando un grande affare per i Benetton. Oltretutto per un investimento che lo stesso statuto della nuova Edizione, la cassaforte societaria che gestisce l’impero di partecipazioni azionarie e immobiliari della famiglia di Ponzano Veneto, definisce non strategico. Con una partecipazione storica complessiva del 3,97% detenuta tramite la controllata Schematrentatre e corrispondente a un pacchetto di 62,8 milioni di azioni, i Benetton avevano costruito la propria quota nel capitale delle Generali con un primo ingresso nel 2005 e poi ulteriori acquisti nel 2018 e nel 2019, investimento che ai valori odierni vale circa 920 milioni di euro. Ma a pagina 31 del bilancio consolidato di Edizione, in una postilla dal titolo «Fatti di rilievo intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio», la holding mette nero su bianco i numeri dei maggiori acquisti di azioni Generali effettuati nel vivo della campagna elettorale per incidere sulla governance del Leone. Quello che ne emerge è che tra marzo e aprile scorso i Benetton hanno acquistato sul mercato un ulteriore pacchetto di 12,5 milioni di azioni Generali, pari allo 0,79% del capitale che ha permesso alla famiglia nordestina di presentarsi in assemblea con un 4,76%. Pacchetto che ne ha fatto il terzo grande azionista singolo dietro a Caltagirone e a Del Vecchio. Ma il piccolo arrotondamento per sostenere il contropiano dell’imprenditore capitolino è costato ben 245,7 milioni per un prezzo medio di 19,65 euro, valori che incorporavano l’appeal speculativo dello scontro pre-assembleare che ha portato il titolo il primo aprile oltre i 21,1 euro, ai massimi da ottobre 2008. Livelli entrambi ben lontani dai 14,66 euro con cui Generali ha chiuso gli scambi ieri: ben cinque euro in meno a titolo rispetto all’acquisto, per una minusvalenza potenziale di oltre 60 milioni. Come rivelato da MF-Milano Finanza il 19 maggio scorso, stesso discorso vale per la Fondazione Crt, la cui «campagna» per sostenere Caltagirone (salendo dall’1,3% di settembre 2021 all’attuale 1,72%) è costata all’ente torinese 126 milioni di euro, cifra sborsata per comprare un pacchetto aggiuntivo di 6,8 milioni di azioni, a un prezzo medio di acquisto di 18,5 euro. Anche se c’è da dire però che alla fondazione guidata da Giovanni Quaglia e da Massimo Lapucci hanno stipulato dei derivati di copertura «collar» contro i rischi di deprezzamento del titolo. Intanto Fincal, società del gruppo Caltagirone, ha ridotto la quota detenuta nel capitale delle Generali al 2,997% dal precedente 3,008% relativo al 5 ottobre 2021. La mossa segue quella del 18 giugno in cui l’ingegnere romano aveva già smontato, tramite il veicolo VM2006, parte della propria posizione, scendendo dal 9,95% del depositato in assemblea al 7% circa. Secondo il Leone, Caltagirone possiede ora complessivamente una quota del 6,46%, pacchetto che però potrebbe essere maggiore in quanto l’imprenditore, dimessosi dal board a inizio maggio, non è più soggetto agli obblighi di internal dealing. (riproduzione riservata)
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