di Carlo Giuro
La nascita di un mercato comune dei prodotti pensionistici ad adesione individuale potrebbe portare benefici soprattutto a quei lavoratori con elevata mobilità transfrontaliera, diffusa tra i più giovani maggiormente esposti alle riforme adottate per garantire la sostenibilità dei sistemi pensionistici di primo pilastro. Parola di Antonello Motroni, ricercatore dell’area internazionale del Mefop e membro dell’Occupational Pensions Stakeholder Group dell’Eiopa, autorità di vigilanza europea su assicurazioni e fondi pensione.

Domanda. Quando potranno debuttare i primi Pepp in Italia?

Risposta. Le normative nazionali devono definire le regole per la contribuzione e l’erogazione delle prestazioni; al momento sono state definite per sei Paesi. Per quanto riguarda l’Italia lo scorso 5 maggio il Governo ha approvato il decreto legislativo che disciplina tali profili, trasmettendolo alle commissioni parlamentari. Il termine ultimo per l’esercizio della delega da parte del Governo è il prossimo 8 agosto. Soltanto dopo l’entrata in vigore di tale decreto legislativo i Pepp potranno essere istituiti e commercializzati anche in Italia da banche, assicurazioni, sgr.

D. Quale ruolo hanno i canali digitali?

R. Molteplici sono gli accorgimenti adottati per favorire la commercializzazione on line del prodotto, in particolare per quanto riguarda la comunicazione agli aderenti e beneficiari. Il collocamento digitale è strategico per assicurare che i costi del prodotto siano contenuti. L’attenzione al profilo digitale sarà fondamentale per poter avvicinare i giovani.

D. Quali sono le principali caratteristiche sia in fase di accumulo che di rendita?

R. Le fasi di accumulo e decumulo sono definite nell’emanando decreto legislativo. La posizione potrà essere alimentata con contributi a proprio carico e, su base volontaria, a carico del datore di lavoro o del committente. E’ invece preclusa la possibilità di contribuire con il tfr. Il Pepp prevede una offerta limitata di opzioni di investimento, massimo sei, tutte caratterizzate da una tecnica di mitigazione del rischio che garantisca un’adeguata tutela dei risparmiatori. Il Pepp di base, che rappresenta l’opzione standard per gli aderenti, si caratterizza per la presenza di un tetto ai costi dell’1% del capitale accumulato per anno e da una garanzia sul capitale o da un’altra tecnica di attenuazione dei rischi coerente con l’obiettivo di recuperare il capitale investito. Per quanto riguarda le prestazioni ante pensionamento, in Italia la scelta è stata quella di estendere le regole dei fondi pensione, ai Pepp.

D. Quali le differenze?

R. Rispetto ai fondi pensione italiani il Pepp prevede un ventaglio maggiore di opzioni per la fase di decumulo, infatti oltre alla rendita e alla combinazione con il capitale sarà possibile ritirare il montante interamente in capitale o tramite prelievi programmati nel tempo, opzioni, queste ultime, non contemplate dalla normativa sui fondi pensione che prevede una prestazione tutta in rendita o al massimo al 50% in capitale e al 50% in rendita.

D. Dal punto di vista fiscale come è disciplinato il Pepp?

R. Il Parlamento europeo ha raccomandato di garantire ai Pepp lo stesso trattamento fiscale già riconosciuto ai prodotti pensionistici ad adesione individuale commercializzati negli Stati membri. Il governo italiano nell’adeguare la normativa nazionale al regolamento Pepp ha deciso di allinearsi a tale raccomandazione, prevedendo un trattamento fiscale analogo a quello previsto per i fondi aperti e i Pip, sia per quanto riguarda la deducibilità dei contributi e la tassazione dei rendimenti, sia per quanto riguarda l’imposizione delle prestazioni, anticipate e al pensionamento. La principale differenza rispetto alla fiscalità dei fondi aperti e dei Pip riguarda il trattamento delle prestazioni fruite interamente in capitale e nel caso in cui il prelievo rappresenti oltre il 50% del montante. Per tali alternative, il governo ha previsto una tassazione al 23% (al posto del 15% che si può ridurre fino al 9% a seconda degli anni di iscrizione, ndr), anche in ottemperanza di uno dei criteri di delega stabiliti per l’adeguamento della legislazione italiana al regolamento Pepp, che consisteva nel garantire all’opzione della rendita un trattamento fiscale di favore rispetto alle altre opzioni.

D. Oltre al possibile impulso digitale, quali potrebbero essere gli stimoli al sistema italiano di previdenza complementare?

R. La presenza di un nuovo attore potrebbe apportare diversi vantaggi al sistema dei fondi pensione italiani. Il decreto 252/2005, che ha istituito l’assetto attuale della previdenza integrativa, si fonda infatti sulla competizione tra forme collettive e individuali, con l’aspettativa che ciò conduca a un mercato sempre più efficiente. Tale competizione si basa sul rispetto di regole comuni. E proprio qui risiede la difficoltà derivante dai Pepp, vale a dire le possibili asimmetrie regolamentari che si potrebbero creare con fondi aperti e Pip ma anche con i negoziali e i preesistenti. Le differenze relative al tfr, piuttosto che la possibilità di beneficiare dell’intero montante in capitale, seppure con una tassazione meno vantaggiosa, la diversa normativa sull’informativa pre-adesione e durante l’adesione, come pure la frammentazione dell’assetto di vigilanza, potrebbero innescare una situazione di vantaggio competitivo per i Pepp. Il tutto sarà reso ancora più complesso dalla possibilità riconosciuta ai fornitori di Pepp istituiti in altre paesi dell’Ue di collocare il prodotto in Italia in base al principio della libera prestazione dei servizi.

D. Quali sono i profili di portabilità della posizione individuale?

R. Il Pepp dà la possibilità, in caso di spostamento della residenza a un altro Stato Ue, di continuare a versare contributi nello stesso Pepp. Ciò sarà possibile grazie all’apertura di un sottoconto nazionale relativo al nuovo Paese di residenza nell’ambito del conto Pepp dell’aderente. Infine, i fornitori di Pepp dovranno offrire sottoconti nazionali per almeno due Stati membri. (riproduzione riservata)
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