di Angelo De Mattia
Non si è ancora spenta l’eco delle presunte dimissioni entro l’anno – poi smentite anche se non adeguatamente – del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e già si lancia nelle cronache un nuovo caso, costruito ad hoc, a proposito delle dimissioni del presidente della Consob, Paolo Savona. Che, però, non è nuovo a ipotesi, sempre irrealistiche della specie, che spesso sembrano avere i «primi moventes» in coloro che vorrebbero un’authority magari sullo stile di quella che fu del presidente Bruno Pazzi, che rimase in sella dal 1990 al 1992. A questo si aggiunge la vicenda delle nomine per incarichi di direzione in imprese pubbliche che, pur scadenti nel 2023, potrebbero essere anticipate perché a disporle possa essere l’attuale governo Draghi.
Ma, mentre nel caso della Banca d’Italia, si prospetta anche il nome dell’eventuale successore di Visco, quello di Fabio Panetta, ora autorevole componente dell’esecutivo della Banca centrale europea – una personalità di indiscussa, di straordinaria competenza ed esperienza che gode di prestigio e di credibilità a livello internazionale – quanto alla Consob non si rischierebbe neppure di indicare chi, secondo la fantasiosa operazione, dovrebbe succedere a Savona. Si potrebbe archiviare il tutto concludendo con un non ragioniam di lor, anche perché il presidente dell’authority scadrà di carica nel 2026, mentre Visco concluderà il secondo mandato a ottobre 2023.
Una immaginaria ricostruzione, senza capo né coda, lo vede, dopo l’uscita, alla Goldman Sachs, anche perché si devono fare i conti con la legge Frattini sull’incompatibilità di un anno post-incarico prima dell’assunzione di nuove cariche in soggetti pubblici italiani. Alla famosa banca d’affari sono sinora approdate ex alte cariche dello Stato, ma non si è ancora registrata l’assunzione di un ex vigilante. Il governo farebbe bene a smentire queste voci, anche perché viene tirato in ballo il ministro dell’economia, Daniele Franco, che si starebbe occupando della questione che riguarda la Consob. Non giova all’istituzione, ai mercati, ai risparmiatori, allo stesso esecutivo un’immagine, sia pure artificiosamente costruita, di un vertice della Consob instabile. Non giova che ab externo si tenti, a volte, di rappresentare una situazione conflittuale che non risponde all’effettiva realtà che, nel complesso, vede il collegio di vertice, nella pur ineliminabile dialettica, impegnato nel perseguimento dei fini a cui è predisposta a sovrintendere l’autorità.
Savona sta operando, insieme con i commissari, per far meglio corrispondere quest’ultima alla sua missione nella trasformazione digitale, degli ordinamenti, della globalizzazione – e ora con l’incipiente deglobalizzazione – del mondo societario. La Consob è stata la prima autorità a impegnarsi sui temi dell’Intelligenza artificiale, sulle cripto-attività, sui rapporti tra risparmio degli italiani, mercati finanziari, export e risparmiatori. Se si vorrà una Consob «addomesticata», allora si potrà spiegare questo chiamare in ballo un’uscita di Savona che, per ora, resta relegata a costruzioni fantasiose, come si è detto, oppure dalla vista fin troppo lunga.
Ma è vero pure che bisogna temere il peggio, anche come misura di prevenzione: cioè che si voglia mettere mano a una revisione dell’assetto dell’authority, magari riprendendo vecchi progetti di aggregazione di funzioni tra i diversi organi di controllo, per poi giustificare cambi al vertice della Commissione. Che una riforma delle authority sia necessaria è indiscutibile, ma non certo attraverso l’egemonizzazione di questa o quella autorità o assorbimenti nell’una o nell’altra e non con la finalità, ove mai sfiorasse la mente di qualcuno, di provocare ribaltoni al vertice.
Non crediamo affatto che il premier Draghi – ma anche qualche suo consigliere che non è, però, il «teologo del Papa» – possano immaginare una strategia così strutturata, che alla prova dei fatti risulterebbe perdente per tutti. (riproduzione riservata)
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