Nel 2020 il reddito medio delle famiglie italiane era più alto del 3,7% rispetto al 2016, ma inferiore di quasi 8 punti percentuali rispetto al picco raggiunto nel 2006
Nel 2020 il reddito medio delle famiglie italiane, a prezzi costanti e corretto per confrontare tra loro nuclei familiari di diversa composizione, era più alto del 3,7 per cento di quello del 2016, ultimo dato disponibile, ma ancora inferiore di quasi 8 punti percentuali rispetto al picco raggiunto nel 2006, prima delle ultime tre recessioni che hanno colpito l’economia italiana.
La ricchezza netta media, valutata a prezzi costanti, è aumentata dell’1,7 per cento tra il 2016 e il 2020, principalmente grazie alla componente finanziaria, sostenuta sia dalla crescita del risparmio sia dal più elevato valore delle attività. La quota di famiglie indebitate è tornata ad aumentare, mentre è diminuito di 4 punti percentuali rispetto al 2016 il peso delle famiglie finanziariamente vulneralbili.
Sono i principali dati che emergono dall’Indagine sui bilanci delle famiglie, diffusa dalla Banca d’Italia, con riferimento al 2020 e a 4 anni dalla precedente.
I consumi e il risparmio delle famiglie
Nel 2020 la spesa media familiare si è ridotta in termini reali del 9,7 per cento rispetto al 2016, proseguendo la flessione già in atto, seppure con diversa intensità, dal 2006 e attestandosi sul valore più basso dal 1980, cioè da quando l’indagine rileva questa variabile.
I consumi delle famiglie hanno risentito nel 2020 delle misure di contenimento della diffusione del virus e dei timori del contagio, oltre che di una maggiore incertezza sul futuro e, per alcuni beni durevoli, dei vincoli dal lato dell’offerta. Alla contrazione hanno contribuito sia i consumi di beni e servizi non durevoli sia quelli di beni durevoli.
Il calo della spesa è stato più intenso al crescere del reddito equivalente. Le famiglie meno abbienti normalmente spendono una significativa parte delle proprie entrate in consumi non comprimibili, a fronte della maggiore propensione delle famiglie più benestanti al consumo di beni e servizi la cui fruizione è stata frenata dalla pandemia (cfr. il riquadro: La pandemia e le condizioni economiche delle famiglie tra il 2019 e il 2020). La spesa equivalente
delle famiglie appartenenti al primo quinto di reddito equivalente è stata pari a circa un terzo di quella delle famiglie appartenenti all’ultimo quinto, con una riduzione del divario tra i due gruppi rispetto al 2016. La contrazione dei consumi è stata più pronunciata (-13 per cento) per gli individui con oltre 65 anni, i cui comportamenti di spesa hanno risentito della maggiore esposizione alle conseguenze gravi del contagio da coronavirus, e per coloro che vivono in nuclei familiari il cui maggiore percettore di reddito è lavoratore dipendente o inattivo (-10,6 e -10,2 per cento rispettivamente). Al significativo calo della spesa tra il 2016 e il 2020 si è associato un forte aumento del risparmio familiare medio, cresciuto di oltre il 40 per cento. L’aumento in valore assoluto è stato massimo per il quinto di reddito
superiore.
La ricchezza delle famiglie
Alla fine del 2020, sulla base dell’indagine le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 341.000 euro; il valore mediano, che separa la metà meno ricca delle famiglie dalla metà più ricca, era significativamente inferiore (poco meno di 151.000 euro). Rispetto all’ultima rilevazione, riferita al 2016, la ricchezza media è aumentata in termini reali dell’1,7 per cento; si è ulteriormente ampliato il divario tra la ricchezza netta media e quella mediana, un indicatore del grado di diseguaglianza nella relativa distribuzione. Secondo l’indagine, il 50 per cento meno ricco delle famiglie possedeva solo l’8 per cento del patrimonio netto complessivo mentre la metà di quest’ultimo era detenuta dal 7 per cento più ricco.
Sulla base delle risposte fornite, il patrimonio lordo delle famiglie italiane alla fine del 2020 era costituito per l’82 per cento da attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) e per il rimanente 18 per cento da attività finanziarie.
Rispetto al 2016 il peso della componente finanziaria è aumentato di oltre 3 punti percentuali, riflettendo il simultaneo calo della ricchezza reale e l’incremento delle attività finanziarie detenute dalle famiglie.
Il valore medio delle attività reali alla fine del 2020 era lievemente più basso che nel 2016 (-0,8 per cento a prezzi costanti), principalmente a causa del minore valore degli immobili (-6,9 per cento) che ne costituiscono la componente principale. Le attività finanziarie mediamente detenute dalle famiglie erano invece significativamente maggiori (+30,8 per cento); la crescita ha interessato i nuclei lungo tutta la distribuzione della ricchezza, anche in conseguenza del diffuso aumento del risparmio durante la pandemia.
Le passività finanziarie ammontavano a poco più del 6 per cento del patrimonio lordo per il complesso delle famiglie e al 16 per cento per i soli nuclei indebitati. Il valore medio delle passività è aumentato rispetto al 2016 di oltre il 30 per cento a prezzi costanti, interessando tutta la distribuzione della ricchezza.
La ricchezza media posseduta dal 5 per cento delle famiglie più ricche è aumentata di oltre il 20 per cento rispetto al 2016, sospinta dall’aumento del valore delle attività finanziarie, dalla crescita del risparmio e dall’incremento delle attività reali in aziende. Anche la ricchezza netta media del 30 per cento più povero delle famiglie è aumentata rispetto al 2016, pur continuando a rappresentare meno del 2 per cento del patrimonio totale. È invece diminuita la ricchezza media nelle classi centrali della distribuzione, per effetto della diminuzione dei prezzi delle abitazioni, che costituiscono la componente principale del patrimonio di queste famiglie.
Ne è derivato complessivamente un incremento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza netta. Al netto della modifica metodologica, nel 2020 l’indice di Gini è salito al 64,7 dal 61,6 del 2016.