Andrea Cabrini
Sarà un anno d’oro per Azimut. La società del risparmio gestito ha alzato le previsioni di utili ma al presidente e fondatore Pietro Giuliani non basta. «Gli italiani fanno fatica a capirlo, ma è il momento di investire sulla economia reale, anche perché prima o poi le banche centrali suoneranno la fine della ricreazione», spiega in questa intervista a ClassCnbc. In cui torna a ipotizzare alleanze per Azimut in Italia, ma solo se il mercato riconoscerà al titolo una valutazione diversa.
Domanda. L’economia riparte, ma i mercati danno segni di stanchezza. Come vede la seconda parte del 2021 per Azimut?
Risposta: Abbiamo alzato la guidance dell’utile netto da 350 mln fino a 500 mln a fine anno perché, dopo sette mesi di rialzi, se i mercati continueranno ad andare così bene, arriveremo a chiudere un ottimo bilancio. I 226 milioni di utile dei primi sei mesi, infatti, non includono le commissioni di performance, che oggi si calcolano con il nuovo metodo e si calcoleranno solo il 31 dicembre. Un segnale molto forte, poi, è arrivato dalla raccolta netta. Sui 12 mld del primo semestre ne abbiamo fatta molta all’estero, il 37% delle masse. Siamo l’unico operatore italiano cosi diversificato. Al momento, dunque, la fotografia è rosea.
D. Quanto può durare questo momento?
R: Sono la persona meno indicata a dare questa risposta. Io, infatti, pensavo che ci sarebbero stati problemi dalla fine dell’anno scorso, e sono in buona compagnia: da Valeri di Intermonte a Paolo Basilico, grandi esperti di mercato condividevano le mie preoccupazioni. Tuttavia, le borse guardano solo al rimbalzo del pil e alla crescita degli utili, e guardano solo alle notizie positive. Quindi non c’è motivo per non continuare a seguire il rialzo. Se avessimo agito razionalmente nell’ultimo anno avremmo perso grandi guadagni.
D. La sento dubbioso.
R. Rimango ottimista, ma non posso non osservare che tutte le banche centrali del mondo continuano a stampare denaro. Questo fa salire i prezzi di qualunque cosa. Prima o poi questo produce inflazione. Quando suonerà la campanella, e si capirà che la ricreazione è finita, faremo i conti e capiremo il costo della ricetta con cui abbiamo affrontato la crisi: stampare moneta per poter dire che va tutto bene. A quel punto le valutazioni del mercato si dovranno rimettere a posto. E’ solo questione di tempo.
D. Come si investe in questa situazione?
R. Puntando sulla economia reale. Noi abbiamo iniziato sei anni fa, e ora ci seguono anche grandi operatori. Il vantaggio principale di questo tipo di investimenti è che, avendo un orizzonte temporale più lungo, quando ci sarà l’aggiustamento dei mercati, che ci sarà, le persone non saranno portate a reagire emotivamente. A noi offrono la possibilità di investire in equity e bond avendo un orizzonte temporale lungo abbastanza per operazioni che non tengano conto della volatilità di breve periodo.
D. Quanto dovrebbero pesare in portafoglio?
R. Noi abbiamo un obiettivo sulle nostre masse del 15% entro il 2024, e siamo in linea con le previsioni. Ma per aiutare davvero i risparmiatori si dovrebbe andare al 30 per cento. Il premio per la illiquidità è un rendimento annuo tra l’8 e il 10% annuo, con l’obiettivo di raddoppiare l’investimento in dieci anni. E’ la media del settore. Per farlo abbiamo partecipazioni in tre società di gestione nel mercato piu’ importante per l’economia reale, quello americano. Abbiamo accordi con Blackstone e Peninsula, una nostra squadra di gestione interna, partecipazioni in operatori specializzati come Jellify e P101. A settembre lanceremo una fondo con High Post, società americana con azionisti come Mark Bezos e David Moross con cui abbiamo una partnership da febbraio.
D. Gli investitori italiani, però, amano molto la liquidità.
R. E infatti noi troviamo grande difficoltà a collocare i prodotti che investono nella economia reale. Siamo gli unici che lo fanno con una rete di consulenti finanziari in Italia, e si fa fatica a convincere anche i nostri colleghi che una parte dei risparmi dei clienti vanno messi in condizione di illiquidità. Stiamo parlando di quella parte degli asset che gli investitori si possono permettere di impegnare, che daranno un rendimento maggiore e permetteranno di superare la correzione del mercato, che ci sarà.
D. Avete ottenuto l’autorizzazione in Lussemburgo per investire in strategie per dare esposizione agli asset virtuali. Cosa c’entra il bitcoin con l’economia reale?
R. Fino ad un anno fa si conoscevano solo le cripto. E io stesso ero sempre stato molto prudente. Il bitcoin è pericoloso se utilizzato male, va preso con le pinze, e tutti i regulator, a partire dalla Consob, invitano a fare molta attenzione. Altro discorso è la tokenizzazione degli asset, che sarà inarrestabile. In futuro vedremo che la tokenizzazione di ogni cosa può costituire oggetto di investimento. Compresi i beni fisici. Serve tecnologia di avanguardia. Vogliamo portare in Italia questo know how. Banca Sygnum, è il nostro partner. E’ una istituzione svizzera con cui abbiamo stabilito in joint venture il primo security token di asset management.
D. Quanto resterà italiana e quanto sarà internazionale l’Azimut del futuro?
R. Siamo italiani e vogliamo mantenere il cuore e il cervello in Italia. Tanto più il Paese ci darà la possibilità di continuare a crescere, tanto più lo faremo qui. L’estero ci aiuta, e crescerà ancora. Ad esempio, negli Stati Uniti abbiamo un importante accordo con Sanctuary, rete di ultima generazione, vera Università del wealth management. E’ stata fondata da grandi consulenti Usa che si sono messi in proprio. Nella jv abbiamo acquisito la maggioranza. La sfida è l’integrazione con le nostre società di gestione, affinché i nostri prodotti vengano diffusi anche da loro. L’Asia resta un mercato importante con la sua propagine australiana. Siamo in Cina da oltre 12 anni, e un nostro prodotto è stato premiato a Whuan per avere battuto gli indici locali di 24 punti percentuali. Siamo in Egitto come avamposto per espanderci in Africa. E siamo il primo operatore di risparmio gestito in Turchia.
D. Nel mondo del risparmio gestito contano soprattutto le persone. I grandi gruppi se le strappano di mano. E voi?
R. Le persone sono fondamentali. Nel risparmio sono l’unico vero asset, anche il marchio è secondario. Ma guardando al futuro la consulenza sarà phygital. Il covid ha accelerato un processo in corso in Azimut da dieci anni. Potersi parlare a distanza con i clienti continuerà anche dopo la pandemia. I risparmiatori si sono abituati nell’ultimo anno e mezzo. Il digitale è nel futuro della professione: la combinazione vincente sarà avere buoni professionisti con ottimi strumenti.
D. Voi ne avete abbastanza o ne state cercando?
R. Siamo circa duemila, e va benissimo così. Ma ci servono più giovani. Abbiamo un progetto millennials per andare in questa direzione, e anche un master con l’Università di Bologna. L’età media dei consulenti, infatti, è 54 anni. Dobbiamo abbassarla, altrimenti ci estinguiamo, non solo noi, ma tutto il settore.
D. Conferma che in futuro Azimut resterà indipendente o dopo il Covid si sono riaperti i giochi ?
R. L’indipendenza è la nostra forza e lo saà anche in futuro. Quando ci siamo quotati per sei mesi siamo andati sotto il prezzo di ipo. Siamo tornati al di sopra solo grazie alla attenzione degli azionisti americani e inglesi, che oggi sono tra i più presenti nel nostro capitale. E’ il caso di dire nemo propheta in patria. Certo, potremo comunque fare alleanze molto importanti in futuro anche qui in Italia. Ma dipende essenzialmente dalle valutazioni. Non è possibile che io in Italia cresca da sette anni, faccia più utili degli altri (solo Mediolanum ne fa pochini più di noi) e Azimut in borsa valga un miliardo in meno del concorrente quotato piu basso. Non si può pensare ad aggregazioni con questa discrepanza di valutazioni. Detto questo noi siamo pronti una volta che recuperiamo un valore di mercato ragionevole.
D. Che significa ragionevole?
R. Oggi facciamo 350 milioni di utili e il multiplo medio è di 14. Quindi l’azione dovrebbe valere 35 euro verso i 21 di oggi. Se faremo 500 mln a fine anno dovrebbe valere almeno 40. Qualche concorrente tratta a valutazioni anche più alte. A me basterebbe la media del mercato. Se qualcuno attaccasse il cervello eviterebbe di far guadagnare solo gli investitori americani. (riproduzione riservata)
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