L’impatto della pandemia sul reddito e sul lavoro dei medici italiani è stato rilevante, secondo Univadis Medscape Italia, il portale di informazione per i professionisti della salute.
Per la prima volta Medscape ha inserito l’Italia tra i Paesi presi in esame dall’indagine annuale condotta online da anni per analizzare i compensi e l’impegno lavorativo dei medici.
Hanno aderito alla ricerca quasi 900 professionisti italiani che svolgono tutti la propria attività lavorativa a tempo pieno, ovvero per almeno 36 ore alla settimana; di questi, quasi tre quarti sono maschi (642 uomini vs appena 236 donne) e in una percentuale analoga hanno 45 o più anni (651 partecipanti over 45 di entrambi i sessi). Tra le specializzazioni, la più rappresentata è quella della Medicina Generale (12,3%), seguita dagli specialisti in Anestesia e rianimazione (9%) e in Chirurgia generale (8%). La maggior parte dei medici intervistati esercita la professione in ospedale – di cui il 62% in corsia e l’8% in ambulatori in ambito ospedaliero – e l’86% di loro pratica alle dipendenze o in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale.
L’impatto sul reddito
Il primo dato è che per quasi la metà del campione il 2020 è stato un anno difficile, non solo perché hanno dovuto affrontare l’emergenza sanitaria in prima linea. “Circa un terzo del campione ha indicato una riduzione di introiti che va dal 10 fino al 25%, con picchi che superano anche questa percentuale, e che i professionisti attribuiscono alla pandemia da Covid-19”, ha spiegato Daniela Ovadia, Coordinatore Editoriale Univadis Medscape Italia e autrice del report. “La stragrande maggioranza dei medici che ha subito una contrazione del proprio reddito (il 92%) è costituita proprio da professionisti operanti in strutture sanitarie pubbliche ma non come dipendenti. L’arrivo della pandemia ha quindi significato per loro un limitato accesso agli Ospedali per ragioni di sicurezza e la conseguente perdita del lavoro, la riduzione delle ore lavorative e del volume dei pazienti, causando la riduzione del reddito”.
La pandemia è stata la prima voce di spesa quotidiana extra dei medici che mediamente hanno speso 1.200 euro per dispositivi di protezione individuale e 6 su 10 hanno sottoscritto un’assicurazione integrativa. Inoltre il 69% dei medici ha pagato di tasca propria la polizza professionale di RC.
Il 44% del campione sostiene di non riuscire ad accantonare nulla e traspare un certo pessimismo sul ritorno alla normalità: l’11% dei medici è convinto che il proprio reddito sia destinato a non tornare mai più ai livelli pre-Covid e il 55% pensa che ci vorranno almeno tre anni.
L’insoddisfazione potrebbe spingere i medici a trasferirsi all’estero. “Questo vale soprattutto per le nuove generazioni di medici che hanno motivazione e strumenti per poter lasciare l’Italia forse più facilmente”, precisa Daniela Ovadia. “Tra chi vorrebbe trasferirsi all’estero, il 18% sceglierebbe come destinazione di lavoro il Regno Unito, sia per la maggiore richiesta di professionisti in ambito sanitario, sia per la somiglianza con il SSN. Va considerato anche che le nuove generazioni di medici hanno maggiore conoscenza della lingua inglese rispetto alle generazioni precedenti, sicuramente un fattore che ne agevola il trasferimento”.
L’impatto sul lavoro
A compensare l’insoddisfacente condizione economica c’è per i medici il rapporto con i pazienti. Il 33% del campione la descrive come uno degli aspetti più gratificanti del proprio lavoro.
Colpisce lo scettiscismo persistente sull’utilizzo dei nuovi strumenti digitali per la salute. L’impiego di tool e device per il benessere – come activity tracker, sleep tracker, smartwatch e app di monitoraggio dei parametri personali – non solo è ancora molto limitato (li usa il 16% dei medici) rispetto ad altri Paesi, ma vengono anche consigliati poco ai propri pazienti (solo il 15% dei medici li raccomanda).
Il quadro migliora se si parla della telemedicina, strumento fondamentale durante l’emergenza Covid-19 e di cui i pazienti hanno cominciato a beneficiare, evitando per esempio di dover raggiungere gli ambulatori di cure primarie, ad alto rischio di sovraffollamento. Tuttavia, solo il 46% degli intervistati ha fatto ricorso a questo strumento tecnologico, giudicato comunque soddisfacente da 7 medici su 10. Tra quelli che non ne hanno ancora fatto uso, il 21% dei medici prevede in futuro di adottare il teleconsulto, che potrebbe aiutare i professionisti a superare i bisogni insoddisfatti di salute e cura, con lo sviluppo di una rete di sostegno sanitaria, assistenziale e sociale.