di Annamaria Lusardi
Sono partite da pochi giorni le iscrizioni al Mese dell’Educazione Finanziaria, promosso dal Comitato per la Programmazione e il Coordinamento delle Attività di Educazione Finanziaria (Comitato Edufin). E’ un progetto a cadenza annuale dedicato ad aumentare la consapevolezza sui temi finanziari, assicurativi e previdenziali. Siamo già alla quarta edizione.
Siamo felici di constatare che l’educazione finanziaria sta diventando protagonista dell’informazione e della formazione non solo a ottobre: va in scena tutto l’anno grazie alle iniziative dei membri del Comitato e di tanti stakeholder pubblici e privati. Con il tempo è aumentata la consapevolezza dell’importanza della conoscenza finanziaria e molti citano le crisi tra le ragioni di questo interesse. Tuttavia l’educazione finanziaria non è una risposta alla crisi, ma al mondo che cambia. Le crisi rendono l’educazione finanziaria più urgente perché mettono in evidenza i costi di non avere delle conoscenze finanziarie di base.
Occorre fare di più e fare meglio perché l’educazione finanziaria arrivi a tutti e perché aiutando i singoli individui possa avere un impatto sull’intera società. Per farlo dobbiamo superare alcune resistenze e risolvere alcuni dubbi, affidandoci alla ricerca e ai dati. Molte voci critiche si sono spesso sollevate contro l’educazione finanziaria. E in modo interessante e curioso le argomentazioni avanzate dai detrattori dell’educazione finanziaria non hanno confini geografici e alimentano le stesse discussioni ovunque. Voglio parlare di queste critiche per chiarire che cosa è l’educazione finanziaria e perché è un’illusione pensare che se ne può fare a meno. Ed è necessario avere un Mese per parlarne e dire a tutti quanto è diventata adesso necessaria.
La prima critica che viene fatta all’educazione finanziaria è che non possiamo diventare tutti esperti. E gli esempi sono sempre gli stessi. Così come non dobbiamo conoscere come funziona il motore della nostra macchina per guidarla, perché, se c’è un problema, la portiamo dal meccanico, così come i medici si occupano della cura della nostra salute e non dobbiamo sapere noi di medicina, sarebbe meglio non richiedere alla persone di diventare esperti di finanza. Sembra costoso e non necessario. Questa critica si basa su due presupposti scorretti. Il primo appunto è che l’educazione finanziaria intenda effettivamente trasformare gli individui in esperti. Non è così e non lo è peraltro per nessuna materia. Insegniamo ad esempio a leggere e scrivere per permette a tutti di comunicare, non ci aspettiamo certo che le persone scrivano una versione moderna di Guerra e Pace. Allo stesso modo insegniamo l’educazione finanziaria per far sì che le persone sappiano i concetti di base utili per prendere decisioni finanziarie e capire il mondo intorno a noi, non per diventare banchieri. La seconda considerazione è che chi non sa può sempre avvalersi di esperti. In realtà sono le persone che hanno conoscenze finanziarie a rivolgersi agli esperti, non viceversa. Senza conoscenze finanziarie di base le persone non sanno a quale esperto rivolgersi né come utilizzarlo al meglio. Un po’ come chi sa poco della propria auto potrebbe accettare ignaro riparazioni magari non necessarie o chi va dal medico troppo tardi quando la malattia è già in stato avanzato.
La seconda critica è che, se abbracciamo l’educazione finanziaria, lo Stato si occuperà di meno dei cittadini, i regolatori non dovranno proteggere gli individui e saranno le persone a essere responsabili dei loro potenziali errori. Queste considerazioni non sono solo errate ma non hanno alcuna evidenza empirica. Sono proprio i Paesi che hanno promosso l’educazione finanziaria quelli che hanno anche rafforzato la protezione dei cittadini in materia finanziaria. Non è un caso che i comitati che si occupano di strategie nazionali per l’educazione finanziaria includano sempre chi fa educazione e chi si occupa di protezione perché è chiaro che questi temi vanno mano nella mano. È anche diventato chiaro ai policy maker, in particolare dopo le esperienze delle crisi, che il miglior modo di proteggere il cittadino è aiutarlo a prendere buone decisioni finanziarie. Ad esempio, è più complesso proteggere le persone se non pianificano per il futuro, se non hanno un cuscinetto per fare fronte a spese inattese, se lasciano la loro ricchezza finanziaria in conti correnti che pagano tassi bassi o negativi o se non conoscono quali strumenti finanziari, assicurativi o previdenziali esistono sul mercato e di conseguenza non li utilizzano. Le crisi ci hanno fatto capire che la prevenzione è meglio della cura.
La terza critica dietro cui si trincera solitamente chi vuole dare un approccio scientifico alla invettive contro l’educazione finanziaria è che l’educazione finanziaria non ha effetti e non influenza il comportamento delle persone o gli effetti durano troppo poco. Esistono vari studi accademici che hanno mostrato che l’educazione finanziaria ha poco effetto, ma questi studi sono basati su piccoli campioni e non tengono in considerazione che tipo di educazione finanziaria viene insegnata. Un’analisi dei programmi più rigorosi di educazione finanziaria in 33 Paesi ha fatto vedere che l’educazione finanziaria ha effetti sulla conoscenza sia sul comportamento e si può fare educazione finanziaria a bassi costi. Dico sempre che chi avanza questa critica non ha mai fatto educazione finanziaria o toccato con mano questa materia.
Dal 2013 insegno un corso di Finanza Personale all’università. Alla fine di questo corso ricevo tanti messaggi dai miei studenti. Alcuni mi hanno scritto dicendo che quell’insegnamento ha cambiato la loro vita. Questa è la mia esperienza: l’educazione finanziaria trasforma la vita della persone. Ecco perché deve essere inserita nelle materie curriculari a scuola. È tra i banchi di scuola che si gioca il futuro di un Paese. (riproduzione riservata)
*direttore
Comitato Educazione Finanziaria
Fonte: