di Giuliano Cazzola
Quota 100 è andata in trasferta. A Bruxelles, nel supernegoziato sul Recovery fund, i governi dei Paesi «frugali» hanno buon gioco a rimproverare l’Italia per le misure sfasciacarrozze contenute nel decreto identitario del governo giallo-verde. Del resto basta leggere una delle Raccomandazioni che dovrebbero condizionare l’accesso ai finanziamenti del pacchetto Ursula (siano essi prestiti o erogazioni a fondo perduto) per capire che Quota 100 e dintorni non incontrano il favore dell’Unione.
Il Governo italiano si è detto contrario ad affidare il giudizio sui Piani nazionali delle riforme al Consiglio anziché alla Commissione (il che è singolare dopo le tante critiche al limite degli insulti che vari governi di diverso colore, ma ugualmente arroganti, hanno riservato ai burocrati di Bruxelles). Ma sarebbe come cadere dalla padella alla brace. Anche la Commissione raccomanda all’Italia di «attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni nella spesa pubblica». È fin troppo evidente che questa raccomandazione si legge in un solo modo: «Ridateci la riforma Fornero». Ma il Governo italiano ha deciso di lasciar perdere, perché il M5S si schiera sempre in difesa delle malefatte combinate con gli alleati verdi.
Se Conte avesse studiato bene il dossier pensioni forse avrebbe avuto degli argomenti da far valere nell’assise dei capi di Stato e di governo. Innanzitutto, potrebbe far osservare che Quota 100 ha cambiato finalità. Falliti gli obiettivi di ricambio occupazionale anziani-giovani, oggi questa misura può valere come ammortizzatore sociale quando le aziende saranno chiamate a fare i conti con gli esuberi. Inoltre, Quota 100 e il blocco dei requisiti del pensionamento anticipato (42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne) non sono riforme strutturali, ma deroghe temporanee, alla cui scadenza (senza modifiche sulla transizione) torneranno pienamente in vigore le regole della riforma del 2011. Infine, i lavoratori che si sono avvalsi di questi sconti sono stati circa la metà di quelli previsti nella Relazione tecnica.
Ma il dato più singolare è ancora un altro. Lo ha fatto osservare la Corte dei Conti nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica: nel 2019 l’età media degli utilizzatori di Quota 100 è stata di 64 anni, mentre l’anzianità contributiva media di 41 anni. Il che può sembrare incomprensibile, mentre è facilmente spiegabile. Quota 100 prevede due requisiti egualmente necessari, ma rigidi.
È successo così che molti lavoratori erano in grado di far valere il requisito contributivo a un’età inferiore ai 62 anni, oppure a 62 anni non disponevano ancora di 38 anni di contribuzione. Tutto ciò premesso la Corte dei conti nel Rapporto ha fatto anche una proposta sensata di gestione della transizione. «Tenendo conto», è scritto, «che con il 2021 l’opzione di Quota 100 verrà a scadenza e che si determinerà un effetto ‘scalone’ che porterà l’età di uscita – in mancanza dei requisiti contributivi previsti per il pensionamento anticipato – dai 62 ai 67 anni, la menzionata flessibilizzazione potrebbe essere accordata dentro uno schema che vada gradualmente ad uniformarsi ai 64 anni previsti per l’uscita degli assicurati in regime totalmente contributivo (per esempio si potrebbe mantenere fino al 2023 l’età di 62 anni, nel successivo biennio salire a 63 anni e infine, a partire dal 2026 arrivare a 64). Naturalmente da quel momento in poi i requisiti dovrebbero essere tutti indicizzati alla speranza di vita e diventare più stringenti al crescere di essa».
In sostanza, una proposta siffatta va tenuta in considerazione anche da noi, se non vogliamo che le infauste deroghe volute dal Conte 1 si traducano ben presto in ponti sospesi nel vuoto.
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