Il numero dei pensionati italiani ha superato il numero dei lavoratori attivi: pensioni a rischio. Queste le notizie apparse nei giorni scorsi a seguito di uno studio ripreso poi da numerosi articoli nel quale si afferma che a causa del Covid-19 i pensionati hanno sorpassato gli occupati privati, pubblici e autonomi.

Notizia che ha immediatamente fatto il giro d’Europa senza alcuna smentita ufficiale né del governo né degli enti interessati; ne ha approfittato subito il veloce Mark Rutte, il premier olandese dei «frugali» che ha tuonato di far cessare Quota 100. Peccato che notizia e corollario siano inesatti. Infatti per il confronto con gli occupati sono stati utilizzati non i 16.004.503 pensionati (le teste) ma il numero delle prestazioni in pagamento che al 31 dicembre 2018 erano 22.785.711, come evidenziato nel Casellario centrale dei pensionati, confrontandole, impropriamente con i 22.777.000 occupati rilevati dall’Istat nel mese di maggio 2020.

A parte il confronto tra dati rilevati in tempi differenti (dicembre per i pensionati e maggio per gli occupati), l’errore sta nell’aver messo a confronto il numero degli occupati con il totale delle prestazioni pensionistiche e assistenziali. È bene ricordare che nel Casellario sono conteggiate tutte le tipologie di pensioni, tra cui alcune pensioni complementari, le pensioni di guerra e le pensioni ai superstiti che sono liquidate insieme al trattamento principale di vecchiaia o anzianità; le indennità di accompagnamento che fanno capo a un’altra pensione o di invalidità civile oppure di vecchiaia/anzianità, le pensioni di guerra e le pensioni ai superstiti che spesso competono a persone già pensionate (coniugi vedovi già pensionati).

Il metodo
Per questi motivi occorre considerare il numero delle teste ossia i pensionati e non il numero di prestazioni. Infatti i pensionati italiani nel 2018 possedevano mediamente quasi una pensione e mezza a testa, più precisamente 1,43 rendite a testa. I prossimi dati del Casellario a fine 2019 saranno pubblicati da Inps e Istat nell’ottobre prossimo, tuttavia sono già disponibili i dati delle gestioni Inps dai quali si evince che nel 2019 sono state liquidate 1.375.810 pensioni (90.611 nuovi assegni in più, pari ad un incremento del 7,1%) per cui le rendite vigenti al primo gennaio 2020 sono 20.883.448; a queste occorrerebbe sommate le pensioni dei pensionati professionisti delle Casse professionali, le rendite Inail, le pensioni di guerra e le pensioni complementari in tutto circa 2 milioni.

È possibile quindi fare un confronto tra il 2018 e il 2019 per stimare con buona approssimazione come hanno influito sui nuovi pensionamenti quelli di Quota 100 operativi dal primo aprile 2019, il blocco dell’innalzamento della speranza di vita per le pensioni anticipate e le altre misure varate o prorogate dal governo giallo-verde.

Il paragone
Dal confronto del 2019 rispetto al 2018, risulta un aumento del 38,8% delle pensioni anticipate (circa 75 mila in più nella classe di età 60-64 con un’età media di 62,7 anni e circa 31.000 in più nella classe successiva 65-69, con un’età media di 65,6 anni), in parte compensato da una diminuzione delle pensioni di vecchiaia e prepensionamento, pari al -15,4%. L’esame delle pensioni vigenti, (quelle in pagamento), al primo gennaio 2020, comprese le nuove liquidate nel corso del 2019 meno quelle eliminate nel 2019, conferma sostanzialmente la dimensione di tale aumento che complessivamente ammonta a 83.678 pensioni vigenti in più, pari a un incremento dello 0,5% rispetto al 2018. Il leggero sfasamento tra i due aggregati è dovuto agli effetti amministrativi della lavorazione delle pratiche in fasi temporali diverse.

I dati Istat di maggio 2020 su occupati e disoccupati rilevano 22.777.000 occupati, (17.627.000 di dipendenti e 5.150.000 di autonomi). Pertanto, a fine 2019, si stima che i pensionati potranno essere circa 90.000 in più rispetto a fine 2018 e raggiungere quindi 16,1 milioni. Se ci si spinge temporalmente a valutazioni ulteriori fino a maggio 2020 per un confronto tra pensionati e attivi, dovrebbe essere considerata rispetto al 2019 anche la maggiore mortalità diretta e indiretta provocata dalla pandemia del coronavirus, che ha colpito per il 95% soggetti over 60 e quindi anche molti pensionati nelle classi di età più alte. Se dovessimo quindi calcolare il rapporto attivi pensionati a fine maggio 2020, ci attesteremmo a un valore di 1,415 attivi per ogni pensionato, contro l’1,45 del 2018. Si tratta in effetti del primo peggioramento dopo ben 22 anni di continui miglioramenti; viene così interrotto il raggiungimento del rapporto 1,5 che pur non essendo la panacea mette certamente il nostro sistema previdenziale in sicurezza considerando anche i due stabilizzatori automatici (età anagrafiche e coefficienti di trasformazione entrambi adeguati alla aspettativa di vita) di cui non dispongono i «frugali». Usare quindi una metodologia corretta consente di evitare allarmi ingiustificati.

Quello che invece ci preoccupa sono almeno tre situazioni: a) l’aumento dell’importo delle prestazioni di invalidità civile attualmente pari a circa 287 euro al mese per un numero di beneficiari totali di circa 980 mila e che la Corte costituzionale con sentenza del 24 giugno scorso ha indicato di aumentare. Supponendo un importo di 516 euro al mese per 13 mensilità, l’incremento annuo di costo si aggirerà sui 2,9 miliardi, ben oltre quanto stanziato nel decreto Rilancio; b) per fine ottobre è atteso il pronunciamento della Consulta sul taglio delle cosiddette pensioni d’oro voluto dal governo Conte 1, iniziato nel giugno del 2019 e che interessa 24 mila pensionati con assegno superiore a 100mila euro lordi l’anno. Come avevamo stimato, in cinque anni questa misura farebbe incassare allo Stato 415 milioni che ovviamente verrebbero cancellati se la Corte, come probabile visto che non si tratta di ricalcolo ma di rozzo taglio, desse ragione ai ricorrenti, con un incremento dei costi amministrativi per i ricalcoli e gli accrediti di non poco conto; c) Resta infine l’effetto combinato di quota 100 e del Sars-CoV2 che aumenterà il disavanzo dell’Inps dai 20 miliardi del 2018 ai 25 del 2019 e ai circa 48 del 2020.

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