Partnership Paolo Bedoni (Cattolica) e Gabriele Galateri di Genola (Generali)
Domani sarà il giorno più caldo dell’estate. Almeno in finanza. La sera di martedì 28 luglio, infatti, si conoscerà il risultato finale della grande partita che ha visto Intesa Sanpaolo lanciare un’offerta pubblica di scambio e acquisto su Ubi Banca. Ma, entro la mezzanotte, si deciderà anche l’altra grande partita dell’anno, che potrebbe vedere una svolta nella storia centenaria di Cattolica Assicurazioni.
In questo caso non c’è stata un’Offerta pubblica di scambio a tenere il mercato con il fiato sospeso per 5 mesi, ma una mossa a sorpresa firmata dalle Assicurazioni Generali che, bypassando un accordo che si stava raggiungendo tra Cattolica e Vittoria assicurazioni, ha posto fine alle preoccupazioni che derivavano da un aumento di capitale che pochi avrebbero voluto sottoscrivere. L’intervento di Generali è stato per certi versi provvidenziale: per conto proprio ha chiuso gli spazi di crescita ai concorrenti sul mercato domestico; sul fronte Cattolica ha tolto il management dall’imbarazzo di un aumento di capitale ricco di incognite. L’operazione però è subordinata alla trasformazione in società per azioni di una cooperativa nata a Verona 124 anni fa. Una cooperativa quotata in Borsa, ma che ha mantenuto per oltre un secolo un forte legame identitario con la città e l’universo cattolico. Ed è questa la partita che si gioca nelle prossime ore.
Le regole delle assemblee al tempo del Covid-19 impongono il distanziamento sociale, così l’espressione del voto dovrà avvenire entro la mezzanotte di domani, attraverso il rappresentante designato. I risultati si conosceranno solo venerdì 31. Se i due terzi dell’assemblea avrà votato a favore della trasformazione sociale, Cattolica nella primavera 2021 diventerà una società per azioni, altrimenti tutto tornerà in discussione.
La situazione è molto complessa. A maggio, Cattolica illustrò il progetto di aumento di capitale da 500 milioni, motivandolo anche per finanziare operazioni di crescita per linee esterne. Tre giorni dopo, l’Ivass, l’autorità di controllo del settore, chiarì invece che l’aumento serviva a ripatrimonializzare la società, i cui parametri di solidità erano a rischio. L’aumento è stato sottoposto all’assemblea dei 18.600 soci di Cattolica a fine giugno. Si sono presentati (virtualmente) in 1.376 e più del 70 per cento ha votato a favore. Una partecipazione così ridotta è stata anche determinata dal fatto che solo una parte dei soci ha ricevuto in tempo utile la documentazione necessaria al voto. Al punto che oltre trenta associazioni socie di Cattolica, a cui si è aggiunta la Curia veronese, hanno ricorso al tribunale delle imprese di Venezia, chiedendo la sospensiva degli effetti della assemblea e la sua annullabilità, vista anche la limitazione del diritto di opzione riservato ai soci. Il 17 agosto è fissata la prima udienza.
Il grande passo
In un clima che si sta surriscaldando, la logica di intervento delle Generali è trasparente. Il Leone di Trieste è pronto a investire 300 milioni cash e chiede di vedere proporzionalmente rappresentato il proprio impegno. Quindi pesare per il 24,4 per cento del capitale di Cattolica e non secondo il principio del voto capitario. Generali dunque è pronta a salvare la compagnia veronese, che senza l’apporto di un robusto aumento di capitale finirebbe commissariata, ma chiede il rispetto proporzionale del proprio impegno, che altrimenti non sarebbe sostenibile agli occhi degli stakeholders. Per Generali è comunque un’ottima operazione, visto che diventerebbe primo azionista di Cattolica ai prezzi minimi dal 2006. Da allora, il titolo si è svalutato del 74 per cento.
Certo, la trasformazione della forma sociale non è un passo indolore. Lo dimostra il formarsi di un ampio fronte critico, che parte dal mondo dell’associazionismo cattolico, passa per la potente curia scaligera e arriva alla Fondazione Cariverona che, in disaccordo con le politiche attuate da Cattolica, ha nei mesi scorsi ridotto la propria partecipazione nella compagnia dal 3 per cento all’1 per cento. Un fronte che ha in Michele Giangrande il candidato da opporre a Carlo Ferraresi per occupare il posto in consiglio di amministrazione lasciato libero dall’ex amministratore delegato Alberto Minali, silurato il 31 ottobre scorso.
Ad agitare gli animi non c’è solo il possibile abbandono della forma sociale cooperativa, ma anche pronunciate riserve sulla gestione. In particolare, si chiedono i soci, che fine hanno fatto i 500 milioni dell’aumento di capitale del novembre 2014 chiamato per finanziare una crescita per linee esterne che non è mai avvenuta?
Il nodo governance è comunque centrale e quanto sta accadendo a Verona appare come logica conseguenza, cinque anni dopo, del terremoto cooperativo iniziato tra Treviso e Vicenza con il crac di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, con cui Cattolica firmò scambi azionari e strinse sfortunati rapporti d’affari, che pesarono a bilancio per centinaia di milioni.
Verona in queste ore si interroga sul proprio futuro: la Fondazione Cariverona in Unicredit non conta più come un tempo; il Banco Popolare è più milanese che scaligero e anche la rinomata Fiera non sta benissimo. Generali ha giocato con sapienza le proprie carte e ora attende fiduciosa. La parola è ai soci: sta a loro restare tali o diventare azionisti. In mezzo ci sono 500 milioni di motivi su cui ragionare.
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