In Italia le unit linked, che trasferiscono il rischio al cliente, si sono prese la scena. Non è solo colpa di Solvency e dei tassi bassi L’Ivass tenta il rilancio replicando l’esperienza di Spagna e Germania
di Anna Messia

Gli assicuratori si spostano verso la finanza e smettono di proteggere i propri assicurati. O almeno li proteggono sempre meno. Il fenomeno riguarda le polizze Vita ed è evidente se si osserva la tipologia di raccolta nell’ultimo decennio: nel 2009 le gestioni separate, prodotti più propriamente assicurativi, rappresentavano poco meno dell’89% del totale, con le unit linked, polizze più finanziarie, che pesavano solo per 11%. A fine 2018 la fetta di questi ultimi prodotti è lievitata e ha superato il 46%. Un trend che è andato a scapito della sicurezza dei clienti visto che le unit linked, nonostante il cappello assicurativo, sono molto più simili ad un fondo comune d’investimento che ad una polizza, e il rischio di eventuali perdite viene trasferito al sottoscrittore.
Nelle gestioni separate, invece, è la compagnia a proteggere il capitale, assumendosi i rischi di eventuali movimenti negativi dei mercati. Una questione che è finita anche davanti la Corte di Cassazione che aveva sollevato dubbi sulla classificazione di un prodotto ad alto contenuto finanziario. Un problema che poi è rientrato ma, al di là delle categorizzazioni, l’accelerazione verso la finanza aumenta il rischio che il settore «si allontani dall’essenza del prodotto assicurativo», ha sottolineato nei giorni scorsi il presidente di Ivass e direttore generale di Banca d’Italia, Fabio Panetta, nella sua prima relazione annuale al vertice dell’istituto.
Un fenomeno evidente in Italia: nel confronto europeo emerge che le riserve tecniche connesse a contratti unit e index linked nella Penisola arrivano a rappresentare un quinto del totale del passivo, con una percentuale del 19%. Molto più alta della Francia, dove la soglia delle polizze finanziarie si è fermata al 14% o di Spagna e Germania, in cui la percentuali di unit linked è pari ad appena il 7%. La spinta alle unit non può quindi essere spiegata esclusivamente come diretta conseguenza delle regole europee di Solvency II che hanno penalizzato le gestioni separate in termini di accantonamento di capitale. Quelle stesse norme valgono infatti anche negli altri Paesi europei. «Molte compagnie si sono spostate verso i prodotti misti in cui le unit e le gestioni separate convivono», spiega Alessandro Santoliquido, ad di Amissima, aggiungendo che i casi più rischiosi sono quelli in cui le polizze sono interamente investite in fondi e anche questi ultimi posso essere più o meno rischiosi, a seconda delle tipologie.

«Nell’attuale scenario di tassi d’interesse bisognerebbe poi orientarsi anche su altri tipi di investimento più redditizi e non solo sui Btp, anche se Solvency II può essere oggi penalizzante», continua Santoliquido. «Noi ci siamo mossi per esempio verso il private debt, grazie alla collaborazione con il nostro azionista Apollo e questo ci consente di vendere ancora in maniera predominante gestioni separate».
Anche in Ivass da tempo si sono posti la questione di un rilancio in Italia delle «vecchie polizze», ed è stato avviato un confronto a 360 gradi con Ania, l’associazione presieduta da Maria Bianca Farina. Da una parte l’intenzione è di raccogliere le proposte delle compagnie che possono essere attuate con un possibile intervento Ivass, lasciando quindi invariato l’attuale assetto normativo. Dall’altra c’è da considerare che in ballo in questi mesi c’è anche la revisione di Solvency II, che sarà operativa nel 2020.
Già lo scorso anno l’istituto aveva deciso di intervenire con un regolamento cosiddetto «spalma-plusvalenze» con lo scopo di rendere più flessibile la gestione di queste polizze. L’intenzione è stata quella di lasciar decidere alle compagnie quando distribuire agli assicurati le plusvalenze accumulate nelle gestioni separate, in un orizzonte di 8 anni. E non si tratta di somme esigue visto che, secondo gli ultimi dati pubblicati da Ivass il saldo netto tra minusvalenze e plusvalenze delle gestioni separate a fine 2018 era positivo per oltre 24 miliardi, grazie soprattutto agli investimenti in titoli di Stato. Finora cinque compagnie hanno accolto questa novità (Generali , Cattolica, Vera Vita, la jv tra Cattolica e BancoBmp, Itas e Bcc Vita). Ma l’impatto sul mercato è stato limitato anche se nel 2018 le gestioni tradizionali hanno recuperato un po’ di terreno. Serve però un intervento più incisivo. Per questo si sta ragionando su altri possibili azioni, guardando anche all’esempio seguito in altri Paesi europei dove le polizze tradizionali hanno continuato ad avere appeal anche con i bassi tassi d’interesse.
In Spagna esistono polizze tradizionali che non permettono alcun riscatto prima della scadenza, vincolando i clienti fino a quella data. Una soluzione che ha il vantaggio di consentire di riconoscere rendimenti più interessanti ma che le compagnie italiane sembrano considerare poco attraente, perché complicate da vendere. Anche la leva della gestione delle plusvalenze potrebbe essere potenziata, come in Germania, dove la compagnia non solo è libera di decidere quando distribuire le plusvalenze ma può fissarne anche il livello. In dibattito è aperto e lo scopo comune: gli assicuratori devono continuare a fare il loro mestiere. (riproduzione riservata)

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