Il rapporto Rbm-Censis calcola i vantaggi delle assicurazioni sia per i singoli sia per il Ssn
Vantaggio oltre il 50% delle deduzioni sulle detrazioni
Pagina a cura di Sabrina Iadarola
Tempo di dichiarazioni di redditi: ritorna il tema di cosa e come portare in detrazione fiscale. In tema di prestazioni sanitarie è previsto che ciascun cittadino possa detrarre dall’imposta lorda un importo pari al 19% delle spese sanitarie per la parte che eccede 129,11 euro, senza applicazione di alcun tetto massimo. Ma soprattutto è tempo di calcoli di convenienza. Da quanto si legge nel rapporto Rbm Censis, le deduzioni della sanità integrativa avrebbero un vantaggio pro capite per i cittadini italiani superiore al 50% (55,37%) rispetto alle detrazioni sanitarie in generale.
Sempre stando al IX rapporto sulla sanità pubblica, privata e intermediata, le detrazioni per spese sanitarie assorbono attualmente il 62,16% dell’intera spesa per oneri detraibili sostenuta dallo Stato. In Italia sono 18,6 milioni i cittadini a beneficiare delle detrazioni fiscali per le cure private, poco più del 41% di quelli che le hanno sostenute.
Nel 2018 l’ammontare delle spese portate in detrazione è stato pari a 18,5 miliardi di euro, di cui 3,3 miliardi di euro riferibili ai ticket. Per circa la metà delle prestazioni sanitarie sostenute direttamente dalle famiglie c’è un abbattimento delle loro imposte Irpef pari al 19% delle spese sanitarie sostenute privatamente. In questo quadro quel che emerge è un trend crescente registrato per la spesa sanitaria privata, da tempo riconosciuta dallo Stato attraverso un sistema di detrazioni fiscali finalizzato a rimborsare parzialmente il cittadino delle spese sostenute per le cure pagate di tasca propria.
«Il meccanismo delle detrazioni sanitarie», commenta Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Rbm Assicurazione Salute, «è più costoso, regressivo e diseguale territorialmente rispetto a quello degli oneri deducibili applicato alla sanità integrativa. Si tratta, inoltre, di un meccanismo generalizzato che non prevede alcun collegamento tra l’effettiva necessità di integrare i livelli assistenziali garantiti dal Servizio sanitario nazionale ed il sostegno al reddito del cittadino rischiando, potenzialmente, di favorire anche possibili forme di «overtreatment» e, quindi, di potenziale inappropriatezza. La scarsa convenienza delle detrazioni sanitarie peraltro le rendono piuttosto inadeguate a fronteggiare i fenomeni di elusione/evasione fiscale, che hanno una certa significatività soprattutto in alcuni ambiti della Spesa sanitaria privata (visite specialistiche, cure odontoiatriche e badantato)». Peraltro in base all’ultimo rapporto «Curiamo la corruzione», promosso da Transparency International Italia con Censis, Ispe-Sanità e Rissc, pubblicato nel 2017, si stima che circa il 23% della spesa sanitaria privata sarebbe potenzialmente esposta al rischio di elusione/evasione fiscale, fenomeno questo che richiama l’attenzione anche sulla possibile sottostima dell’effettiva incidenza di tali costi sulle famiglie italiane.
Le deduzioni della sanità integrativa avrebbero, secondo lo studio citato Rbm Censis, un vantaggio pro capite per i cittadini italiani superiore al 50% (55,37%) rispetto alle detrazioni sanitarie in generale. Queste ultime hanno un costo per le casse dello Stato di poco inferiore a 3,5 miliardi di euro, più del doppio rispetto a quello sostenuto per le deduzioni della sanità integrativa (circa 1,3 miliardi di euro), e producono degli effetti decisamente negativi sia dal punto di vista redistributivo che sociale. Quasi l’80% (77,91%) dei costi sostenuti da tutti i cittadini italiani attraverso la finanza pubblica per garantire le risorse necessarie al funzionamento del meccanismo delle detrazioni sanitarie va a beneficio dei cittadini con redditi medio-alti, superiori a 60 mila euro (oltre il 50% per i cittadini con redditi superiori a 100 mila euro). A livello territoriale, invece, quasi il 65% di questi costi viene assorbito dalle regioni del Nord, e meno del 15% dalle regioni del Sud e Isole. «Sviluppare la sanità integrativa che beneficia anch’essa di un regime agevolato, mediante lo strumento degli oneri deducibili ma esclusivamente sulle contribuzioni versate», aggiunge Vecchietti, «ridurrebbe il costo che lo Stato sostiene sul fronte delle detrazioni (anche perché come noto le prestazioni sanitarie rimborsate dalle compagnie assicurative e dai Fondi sono indetraibili), assicurerebbe maggiore uguaglianza anche nell’accesso alle cure private e finalizzerebbe il supporto della finanza pubblica alle sole prestazioni sanitarie ritenute integrative e/o complementari al Servizio sanitario nazionale. Peraltro, la necessità di presentare prescrizioni sanitarie e fatture alle forme sanitarie integrative per ottenerne il rimborso, garantirebbe un miglior controllo in termini di appropriatezza ed un più efficace contrasto dell’elusione/evasione in sanità privata, con un potenziale recupero di base imponibile stimabile tra i 6 e gli 8 miliardi di euro. Del resto, in una logica di protezione sociale sembra più coerente per lo Stato promuovere atteggiamenti responsabili e «previdenti» da parte dei cittadini, come quello di sottoscrivere una polizza o aderire a un Fondo sanitario, che possono intervenire all’intensificarsi dei bisogni di cura e/o di assistenza, piuttosto che accordare un risarcimento di modesta entità di fronte a qualsiasi spesa sostenuta di propria iniziativa dal cittadino in campo sanitario (si pensi, per es., alla detraibilità delle spese sostenute per acquistare un farmaco c.d. «branded» in luogo del c.d. «generico»).
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