Grazie al rally dei mercati, nel semestre i negoziali hanno fatto +4,7% e gli aperti +5,5%, superando il trattamento di fine rapporto (+0,99%). Ma il ritorno di uno scenario di tassi bassi pone nuove sfide

di Paola Valentini

L’idea di uno schema integrativo pubblico per la previdenza rilanciata dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha fatto sussultare i fondi pensione, che però rispondono alla possibile concorrenza dello Stato con performance del primo semestre decisamente brillanti. Grazie alla ripresa dei mercati e a una maggiore esposizione dell’asset allocation all’economia reale, al giro di boa del primo semestre i gestori previdenziali hanno battuto il trattamento di fine rapporto (tfr), recuperando le perdite del 2018. MF-Milano Finanza ha raccolto i dati dei fondi pensione negoziali e il loro rendimento medio netto si è attestato al +4,7% dopo il -2,5% dell’intero 2018. Dal canto loro i fondi pensione aperti hanno realizzato (dati Fida) una performance media netta a sei mesi del +5,5%, rispetto al -4,5% dello scorso anno.
La rivalutazione del tfr che resta in azienda, la tradizionale asticella con la quale si confrontano i risultati dei comparti di previdenza, nei primi sei mesi del 2019 ha registrato un +0,99% netto per via dello scenario di ancora debole inflazione (il tfr si apprezza di un 1,5% fisso all’anno più il 75% dell’indice di inflazione Istat). C’è da sottolineare che il rendimento della liquidazione ha una tassazione più leggera rispetto a quella dei fondi pensione: l’aliquota fiscale è del 17% contro il 20% di questi ultimi. Ma il contesto di bassa inflazione, unito alla ripresa dei mercati, ha permesso comunque ai fondi di distaccare di gran lunga il tfr. Con performance anche a doppia cifra. Tra i negoziali il comparto Azionario di Mediafond ha segnato il +11,3%, seguito dal Dinamico di Byblos (+9,46%) e dalla linea Dinamica di Laborfonds (+9,15%). Gli aperti, grazie al loro maggior contenuto azionario, sono arrivati a rendere oltre il 12% da inizio d’anno: UnipolSai Previdenza Azionario 4 ha fatto il 12,28%, tallonato da Credemprevidenza Comparto Azionario B (12,27%).
«La nuova ondata di politiche espansive annunciata da Bce e Fed ha guidato le performance di tutte le asset class in questa prima parte del 2019», commenta Paolo Stefan, direttore del fondo negoziale Solidarietà Veneto. Fa eco Nicola Barbiero, responsabile funzione finanza di Fondemain (fondo dei lavoratori della Val D’Aosta): «In questo clima i risultati raggiunti da Fondemain tranquillizzano gli iscritti che si trovano, dopo un 2018 chiuso con il segno negativo, a disposizione una buona riserva di rendimento. Proprio in questo periodo il fondo sarà impegnato con la revisione della politica d’investimento che permetterà di capire se l’attuale composizione abbia bisogno o meno di una revisione in vista dei prossimi anni». La Covip osserva anche che su un periodo di osservazione decennale (2009-2018) il rendimento netto medio annuo composto è stato del 3,7% per i negoziali e del 4,1% per i fondi aperti, nei pip (piani individuali pensionistici di tipo assicurativo) si è attestato al 4% per le gestioni di ramo III e al 2,7% per quelle di ramo I. Sull’analogo orizzonte temporale la rivalutazione del tfr è stata del 2%.

Ma ora anche i gestori previdenziali devono fare i conti con il ritorno di uno scenario prolungato di tassi bassi e questo, avverte l’Eiopa (l’autorità europea di controllo sulle pensioni e sul comparto assicurativo), resta un rischio chiave. Motivo per cui c’è la necessità di una maggiore politica di diversificazione e in questo contesto il focus è sugli asset non quotati caratterizzati da ricadute positive nell’economia reale e con promesse di ritorni interessanti per gli investitori istituzionali. Come dimostra il caso di diversi fondi negoziali che si sono aperti a investimenti in infrastrutture o in private equity. «I mercati restano in ostaggio delle politiche e degli annunci delle banche centrali: con l’effetto che la ricerca di diversificazione, se resta nei confini del quotato, rischia di rivelarsi parzialmente inefficace. Proprio per questo motivo nell’ultima revisione dell’asset allocation il cda di Solidarietà Veneto ha pianificato un graduale aumento della quota destinata agli alternativi; qui il fondo è stato apripista in Italia fin dal 2013, con l’attivazione degli investimenti in private debt e equity, ovvero obbligazioni o capitali in aziende non quotate. Grazie all’esperienza maturata, siamo pronti a introdurre due asset class: le infrastrutture e l’immobiliare», sottolinea Stefan.
Le novità introdotte non riguardano soltanto gli strumenti: Solidarietà Veneto ha di recente sostituito anche due dei nove operatori attivi nella gestione delle risorse inserendo Groupama ed Eurizon, case che in passato hanno già collaborato con il fondo. Intanto Prevaer detiene, dal 2018, partecipazioni nel fondo Macquarie Super Core Infrastructure Fund che investe in utility europee e che ha prodotto al comparto negoziale dei dipendenti del trasporto aereo rendimenti di oltre l’11%. La scelta di Prevaer di costruire partnership con grandi soggetti quali il Fondo Italiano di investimento, BlackRock e Macquarie, per gli investimenti nell’economia reale, è innovativa ma allo stesso tempo in linea con le soluzioni dei fondi pensione internazionali che da anni detengono in portafoglio tali strumenti. E ciò accade perché in Paesi come Olanda o Regno Unito, le dimensioni del sistema complementare sono di gran lunga superiori a quelle dell’Italia, dove il patrimonio dei fondi pensione ammonta a 167 miliardi di euro e ha ancora molta strada per crescere dopo che finora il peso dello Stato nella previdenza ha di fatto frenato lo sviluppo. Ma con l’introduzione del modello contributivo per tutti, a partire dal 2012, si è accentuato il ruolo dei fondi pensione. Intanto l’Europa lavora alla creazione di un mercato unico dei fondi pensione di tipo individuale con l’introduzione dei Pan European Personal Pensions (Pepp).
Per il presidente della Covip, Mario Padula «l’introduzione dei Peep potrebbe costituire l’occasione per eliminare la potenziale penalizzazione fiscale delle forme pensionistiche complementari italiane, soggette alla tassazione annuale dei rendimenti, rispetto agli strumenti previdenziali istituiti in altri Paesi europei, che in massima parte ne prevedono la totale esenzione». (riproduzione riservata)

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