di Stefania Peveraro
Hanno raccolto quasi 4 miliardi di euro dal 2011 le spac o veicoli simili come le cosiddette pre-booking company, cioè veicoli che raccolgono denaro allo scopo di acquistare una quota di una società target e portarla in borsa. Emerge dal database di BeBeez, da cui si evince anche in totale le spac arrivate sul mercato italiano sono state 30, contando anche TheSpac, in raccolta in questi giorni (altro articolo). Dal momento del lancio del primo veicolo di questo tipo, cioè Italy 1 Investments, le spac o simil-spac hanno investito complessivamente 1,25 miliardi di euro e hanno ancora a disposizione altri 2,7 miliardi. Di questo totale, però, già 1,4 miliardi hanno trovato una collocazione, nel senso che sono state annunciate le business combination con le rispettive società target, mentre restano ancora alla ricerca di un target ben 1,27 miliardi di euro, spalmati su 10 spac.
Il mercato, insomma, inizia a essere piuttosto saturo e infatti gli investitori iniziano a pretendere di più dai promotori, in particolare chiedono un maggiore allineamento di interessi e in particolare che questi ultimi mantengano più a lungo l’impegno nelle società target dell’investimento, con lock-up sulle azioni ordinarie più a lungo termine e addirittura con impegni a convertire in azioni ordinarie l’ultimo blocco delle loro azioni speciali solo una volta che il mercato abbia confermato la permanenza del prezzo delle azioni della società risultato della business combination al livello del target più alto per un periodo prolungato e non più i classici 30 giorni.

In ogni caso gli investitori non si possono lamentare. Da un’analisi condotta da Electa per MF-Milano Finanza, anche senza tenere conto dei dividendi distribuiti dalle società target una volta quotate, in media l’investimento in una spac ha dimostrato di rendere il 14% all’anno o 1,6 volte il capitale investito, su un arco di tempo temporale tra la quotazione della spac e oggi, che è di circa tre anni e mezzo. La media, ovviamente, nasconde situazioni molto diverse le une dalle altre, visto che ci sono spac o pre-booking company che hanno concluso la business combination in tempi molto brevi, come Pharmanutra con Ipo Challenger 1, e altre che invece ci hanno impiegato di più, così come ci sono spac che si sono quotate anni fa e altre che lo hanno appena fatto.

Oppure spac che hanno concluso la business combination in un momento di mercato molto favorevole e altre che invece lo hanno fatto proprio all’inizio di un calo generalizzato dei mercati, come è accaduto per ultime due operazioni, cioè quelle di Icf group con Eps e di Cellularline con Crescita , che sono arrivate sull’Aim tra metà maggio e metà giugno. «I numeri mostrano che lo strumento funziona», commenta Simone Strocchi, presidente dell’Associazione italiana spac (Aispac), oltre che promotore di varie spac e pre-booking company con il suo gruppo Electa. «Certo ci vuole pazienza. A meno di casi davvero eccezionali, non si può pensare di portare a casa ritorni significativi prima di tre anni dall’investimento nella spac». Insomma, l’eccezione è incassare un Irr di quasi l’80% in un anno come è accaduto per chi ha investito in Ipo Challenger 1, che si è poi combinata con Pharmanutra .

Il vero obiettivo dell’investitore in una spac dovrebbe essere invece quello di incassare quasi il 24% all’anno per quattro anni e mezzo come è accaduto a chi ha investito in Space, che si è poi fusa con Fila . In questo caso gli investitori hanno portato a casa 2,65 volte il capitale investito. Oppure incassare oltre 3,8 volte il capitale in quasi cinque anni, con un Irr di oltre il 20% all’anno, come è accaduto agli investitori in Made in Italy 1 , che si è poi fusa con Sesa . Giusto per fare due degli esempi migliori.

E se è vero che nel breve periodo l’andamento generale dei mercati finanziari può supportare o deprimere le quotazioni della target quotata, è anche vero che nel medio-lungo periodo quello che conta è il fatto che la società target riesca a raggiungere gli obiettivi che si era posta al momento della quotazione, meglio ancora se nel frattempo riesce a distribuire dividendi, che vanno in aggiunta ai guadagni che gli investitori in spac si portano a casa, oltre a quelli derivanti dall’apprezzamento del titolo e dalla conversione dei warrant. Al momento della quotazione delle spac e al momento della business combination, infatti, agli azionisti delle spac vengono sempre assegnati gratuitamente dei warrant che possono essere convertiti in maniera quasi del tutto gratuita in azioni ordinarie al raggiungimento di certi obiettivi di prezzo sulla base di prefissati rapporti di conversione, con il risultato che il numero delle azioni della target in portafoglio a ciascun investitore aumenta e quindi il valore di ogni azione originaria della spac si moltiplica.

Tornando alla crescita economica delle aziende quotate, «su questo tema io sono un fautore delle cosiddette price adjustment shares (pas), cioè azioni che l’imprenditore si impegna a consegnare al mercato nel momento in cui l’azienda non riesce a raggiungere obiettivi di performance prefissati», osserva ancora Strocchi, che spiega: «Se per esempio l’imprenditore prevede che la società crescerà del 20% in tre anni, allora può essere stabilito un target di crescita del 15% come soglia perché vengano consegnate le pas. Certo, se l’azienda poi crece del 14,9% l’imprenditore non deve consegnare tutte le sua pas ma solo la quota corrispondente alla differenza rispetto al target di performance fissato. Allineare gli interessi di imprenditori promotori e investitori è l’ingrediente di successo di spac e prebooking company». (riproduzione riservata)
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