BankItalia illustra i risultati conseguenti alla segnalazione di operazioni sospette
Fondi all’estero per poi farli rientrare ripuliti in Italia
di Valerio stroppa
L’autoriciclaggio viaggia oltre confine. Ma non si tratta di un biglietto di sola andata: che si tratti di persone fisiche o giuridiche, i fondi accumulati con il reato presupposto (spesso di natura tributaria) saltano da uno stato all’altro, si trasformano e rientrano in Italia sotto diverse sembianze per essere riutilizzati dal medesimo soggetto che ha commesso l’illecito. Finte compravendite immobiliari, bonifici intestati a enti senza scopo di lucro per finalità diverse da quelle di utilità sociale, acquisto di criptovalute: è il quadro che traccia l’Uif, l’unità di intelligence finanziaria istituita presso la Banca d’Italia, nel quaderno n. 11, pubblicato ieri. Il documento illustra le principali casistiche di riciclaggio e finanziamento del terrorismo riscontrate durante le attività di approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette (Sos) ricevute da intermediari finanziari e professionisti.
Gli esempi forniti «hanno la funzione di evidenziare modelli operativi suscettibili di essere utilizzati a fini illeciti e prescindono dalle eventuali vicende giudiziarie relative ai singoli casi concreti», spiega il direttore dell’Uif, Claudio Clemente. Tuttavia le fattispecie tipizzate assumono particolare rilievo con riferimento al reato di autoriciclaggio (articolo 648 ter1 c.p.) che, sebbene introdotto con decorrenza 1° gennaio 2015, ha trovato all’inizio una strada tutta in salita per la sua applicazione pratica da parte delle procure.
Uno dei casi esaminati riguarda una fondazione, che aveva disposto un bonifico da 6,2 milioni di euro su un suo conto di nuova accensione presso una banca di un paese europeo con la causale generica «trasferimento fondi». Il denaro era stato ricevuto poche ore prima con giroconti del medesimo importo complessivo pervenuti da due propri conti italiani, a seguito di alcuni disinvestimenti patrimoniali. L’operazione verso l’estero è stata segnalata dalla banca esecutrice, innescando così le verifiche dell’Uif. Gli 007 di Bankitalia ricostruivano una complessa rete di bonifici transfrontalieri, finalizzati far rientrare parte dei fondi distratti dal patrimonio della fondazione nei conti di un suo esponente (concretizzando così l’autoriciclaggio, dal momento che le condotte di appropriazione indebita e il reimpiego di proventi facevano capo alla stessa persona).
Un altro episodio accertato dall’Uif riguarda un imprenditore che aveva inscenato una compravendita immobiliare per rimpatriare denaro frutto di evasione fiscale, senza passare dalla procedura di voluntary disclosure. In questo caso i «red flags», ossia gli elementi sintomatici della possibile illiceità delle operazioni, erano costituiti dalla presenza di una controparte black list (una società situata in un paradiso fiscale) e dal frazionamento delle operazioni. Le Sos erano state inviate separatamente da due banche italiane, che avevano ricevuto nello stesso giorno due bonifici da 2,2 e da 3,6 milioni di euro, su conti intestati al soggetto. Entrambi i pagamenti erano stati disposti dalla società estera e recavano una causale relativa all’acquisto di una proprietà immobiliare in Italia. L’imprenditore produceva un contratto preliminare che fissava in 8 milioni di euro il prezzo dell’operazione, prevedendo anche che il rogito sarebbe stato stipulato in un paese nordafricano. Tutti elementi che inducevano l’Uif ad avviare un approfondimento finanziario, coinvolgendo anche i «colleghi» del paese estero in cui era localizzata la società: lo scambio di informazioni faceva emergere che il titolare effettivo dell’impresa era lo stesso imprenditore, oltre al fatto che lo stesso giorno dall’estero era partito un terzo bonifico da 2,2 milioni di euro diretto a un terzo istituto di credito italiano (raggiungendo così gli 8 milioni indicati nel compromesso). Il giorno seguente il conto estero della società era stato estinto, mentre i fondi riportati in patria investiti in Btp. Le verifiche in anagrafe tributaria evidenziavano che le disponibilità detenute all’estero non erano state mai dichiarate dal contribuente, ipotizzando quindi i reati di evasione fiscale e autoriciclaggio.
«I crescenti risultati che il sistema antiriciclaggio nel suo complesso sta raggiungendo devono rappresentare uno stimolo per continuare a perfezionare il metodo del confronto», osserva Clemente, «volto a incentivare una costruttiva collaborazione».
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