di Luisa Leone
L’Italia si prepara ad aprire alla finanza islamica. E’ appena approdato in Parlamento il disegno di legge per normare il trattamento fiscale dei principali prodotti Sharia compliant, che potrebbero così iniziare a essere commercializzati nel Paese. I nomi sono esotici: Murabaha, Sukuk, Ijarah, ma altro non sono che contratti di scambio e titoli di debito che rispettano i principi della legge coranica, come il divieto di chiedere interessi (riba) e quello di speculazione (maisir). Altra caratteristica è la necessità di poggiare su attivi reali, il che fa sì che i principali prodotti di finanza islamica siano il risultato non di un’unica ma di una serie di operazioni (vedere tabella in pagina), che oggi in Italia sarebbero tutte tassate, rendendo non conveniente la strutturazione dei prodotti. La proposta di legge, a prima firma del presidente della commissione Finanza della Camera, Maurizio Bernardo, interviene proprio su questo ostacolo, «In sostanza vengono eliminati i costi derivanti dall’applicazione di un’autonoma tassazione su ogni singolo atto giuridico che compone l’operazione di finanza islamica in favore di una tassazione unitaria sull’intera operazione economica», spiega a MF-Milano Finanza Stefano Loconte, coordinatore del gruppo di esperti che ha lavorato alla redazione del testo.
In particolare per i contratti di scambio (Murabaha, Ijarah e Ijarah wa iqtina e Istisna’a) si prevede che il margine corrisposto alla banca venga tassato al 24% come reddito d’impresa e che non si applichi l’Iva, come per tutte le operazioni bancarie. Nulle anche tutte le imposte (registro, bollo, ipotecarie catastali eccetera) legate alle operazioni sottostanti il prodotto, a cui si applicherebbe invece un’imposta sostitutiva dello 0,25%. Per quanto riguarda invece i Sukuk, che sono in buona sostanza titoli di debito emessi con lo schema di una cartolarizzazione, la legge prevede che la remunerazione degli investitori sia tassata al 26%. Mentre l’originator, se ha anche il ruolo di serving agent, è soggetto a tassazione Iva. Esente da imposte è invece la società veicolo (spv), che deve essere però costituita come società di capitali. Infine la proposta di legge stabilisce un costante e rafforzato monitoraggio delle operazioni ai fini antiriciclaggio e antiterrorismo.
Al momento il testo è stato assegnato alla commissione Finanze e messo in coda rispetto a norme prioritarie come quella sulla liquidazione delle banche venete, ma dovrebbe iniziare a essere discusso dopo la pausa estiva. Se l’Italia si doterà di norme per consentire lo sviluppo di un mercato di prodotti finanziari adatti a clienti di fede musulmana si aggiungerà alla lista degli Stati europei che hanno già aperto alla finanza islamica. A partire dal Regno Unito, il primo a muoversi in questa direzione, normando questi prodotti con l’etichetta di alternative finance arrangements. Anche la Francia ha già adeguato la sua legislazione, applicando lo stesso trattamento fiscale dei prodotti finanziari tradizionali sia ai contratti di scambio che a quelli di debito. Non solo, la borsa di Parigi ha anche creato un segmento dedicato al mercato dei sukuk. Ancora l’Irlanda ha previsto disposizioni fiscali ad hoc per alcuni dei principali prodotti Sharia compliant e stretto accordi fiscali per evitare la doppia imposizione sui sukuk con oltre 60 Paesi. Anche il Lussemburgo si è mosso in questa direzione, prevedendo la possibilità di attivare la procedura amichevole prevista contro le doppie imposizioni. Al di là dei modelli scelti dai diversi Paesi europei, di certo la finanza islamica è una realtà ormai ben strutturata a livello mondiale. Secondo Standard & Poor’s a fine 2016 gli attivi Sharia compliant hanno raggiunto i 2 mila miliardi di dollari, con un’accelerazione significativa nell’emissione di bond sukuk nella prima metà del 2017. Non stupisce quindi che oltre 250 fondi di investimento nel mondo seguano i principi del Corano, con più di 100 emittenti (pubblici e privati) di titoli islamici. Per tornare in Italia, secondo la Banca centrale europea, il risparmio dei fedeli musulmani nella Penisola sfiorerebbe i 6 miliardi di dollari. Cifre importanti sia per l’industria finanziaria che per le casse pubbliche, che potrebbero contare su nuovi incassi dal trattamento fiscale di questi strumenti. «Gli Stati che prima di noi si sono dotati di un apparato normativo idoneo hanno dimostrato l’importanza del fenomeno e la conseguente capacità di generare flussi economici di portata rilevantissima, da anni in costante e progressiva crescita», conclude Loconte. (riproduzione riservata)
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