di Francesco Ninfole e Antonio Satta
Dal 2018 entreranno in vigore Mifid 2 e Mifir, i testi legislativi con cui la Ue vuole aumentare la protezione degli investitori. Carmine Di Noia, commissario della Consob, chiarisce in questa intervista le novità per i risparmiatori. Partendo da questo cambiamento normativo, però, si spinge oltre: propone di costituire una nuova Commissione Draghi, che vari a livello nazionale un «Testo unico dei Testi unici», con cui snellire e coordinare le regole oggi separate a seconda dei soggetti coinvolti (banche, assicurazioni, operatori di mercato). Un modello che secondo Di Noia andrebbe adottato anche a livello europeo.

D. Commissario Di Noia, Mifid 2 e Mifir saranno una svolta per migliorare la protezione degli investitori?
Risposta. Sono certamente uno strumento importante. Se si riveleranno anche una svolta, questo dipende da come saranno messe in pratica le nuove regole dagli operatori e dalle autorità di vigilanza di tutta Europa. Mifid 2 e Mifir sono il proseguimento di un percorso iniziato da anni. Quasi tutta la disciplina è di massima armonizzazione. Direttiva e regolamento lasciano poco spazio a discrezionalità nazionali. La principale novità è che la tutela dell’investitore partirà nel momento della produzione e ideazione del prodotto finanziario. Fin dall’inizio il produttore, che può essere diverso dal distributore finale, ha la responsabilità di definire il mercato di riferimento. Certo, ora si pone il tema dello spazio di manovra per il distributore, l’unico che conosce veramente il cliente. L’altra grande novità è l’introduzione della product intervention, ovvero la possibilità di vietare in casi particolari la vendita di strumenti finanziari.

D. Perché sono state varate queste novità?
R. La filosofia della Mifid2 conferma che la trasparenza è importante, ma non risolutiva. Si può persino pensare che in certi casi la trasparenza sia eccessiva, come dimostrano le dimensioni di alcuni prospetti. L’intento del legislatore europeo è quello di innalzare il livello di protezione degli investitori, perseguendo al tempo stesso l’altro obiettivo, esplicitato nella Capital Markets Union, che punta a favorire l’accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei capitali.

D. La product intervention sarà un’arma potente per prevenire casi di mis-selling?
R. La product intervention è un bazooka in mano alle autorità, anche se sono previste condizioni stringenti per utilizzarlo. È uno strumento di extrema ratio, che si spera di usare solo in casi limitati. Il mercato migliore, del resto, non è quello dove ci sono molte sanzioni, ma piuttosto quello dove si opera con correttezza grazie all’effetto deterrente delle regole.

D. Ci fosse stata prima la product intervention, i possessori di bond subordinati sarebbero stati salvaguardati?
R. Difficile dirlo. Bisognerebbe per esempio sapere in quali altri strumenti sarebbe stato investito quel denaro; oppure cosa sarebbe accaduto alle banche in crisi, senza le emissioni subordinate. E se fossero finite in liquidazione coinvolgendo nelle perdite anche i titoli non subordinati? Paradossalmente, l’unico mercato del tutto sicuro è quello vuoto, in cui nessun prodotto è vendibile al retail.

D. Quindi non è a favore del divieto per i clienti retail di comprare titoli subordinati?
R. Se sono vietati i subordinati, per coerenza bisognerebbe vietare anche le azioni, che hanno un grado di rischio più elevato. Troppi vincoli agli acquisti diretti, inoltre, possono essere interpretati come un grande favore all’industria dell’intermediazione. Non mi convincono i divieti generalizzati, ma in casi specifici si può arrivare allo stop.

D. Mifid2 e Mifir sono nuove regolamentazioni che si aggiungono a quelle precedenti a livello nazionale ed europeo. È necessario uno snellimento?
R. Sì. La disciplina europea è sempre più dettagliata e onnicomprensiva, di conseguenza quella nazionale si sta riducendo. Il Testo unico della finanza (Tuf) si sta sgonfiando. Inoltre è sempre più necessaria una regolamentazione che si occupi contemporaneamente di banche, assicurazioni e mercati. Perciò servirebbe – invece di Tuf, Tub e Codice delle assicurazioni – un Testo unico dei Testi unici. Un’esigenza che evidenziava già Ciampi nell’assemblea dell’Abi del 1998, quando il Tuf era appena uscito.

D. Come si potrebbe procedere per arrivare al Testo unico?
R. Innanzitutto rileggere e rifare il Tuf a quasi 20 anni di distanza. Servirebbe un tavolo governativo sul modello della Commissione Draghi, con esperti, operatori, autorità e associazioni. Poi stilare un Testo unico dei Testi unici. Infine bisognerebbe arrivare a una soluzione simile a livello europeo, integrando direttive e regolamenti su banche, assicurazioni e mercati. Un tema a parte, rispetto alla regolamentazione, è quello della supervisione.

D. Qual è il miglior disegno per le autorità di vigilanza, anche considerando la riforma in corso in ambito Ue?
R. Consob si è sempre detta a favore di un modello con un’autorità che regola e vigila la stabilità (in particolare quella micro, che riguarda i singoli intermediari) e un’altra sulla trasparenza. La suddivisione avverrebbe per finalità, quindi non per tipologia di intermediari e prodotti. A queste due si dovrebbero aggiungere le autorità che si occupano di concorrenza e macrostabilità. Il modello della vigilanza non può che essere federale. È troppo presto per autorità solo centrali, ma è troppo tardi per autorità solo nazionali.

D. Il problema del bail-in è stato l’effetto retroattivo?
R. Certamente questa è una parte del problema, ma c’è anche un tema di concentrazione degli investimenti e di mis-selling, che stiamo sanzionando. E c’è pure un altro problema: per lo più i risparmiatori quando devono fare investimenti si rivolgono alla propria banca, anche perché non sono disposti a pagare per avere una consulenza. Lo fanno solo i clienti più facoltosi ed evoluti, che forse ne avrebbero meno bisogno.

D. Alla fine alcuni risparmiatori hanno perso tutto. Di chi è la colpa?
R. In questi giorni si ricordano molto le perdite dei bond subordinati, meno quelle delle azioni. Il punto cruciale è la diversificazione dell’investimento. Gli strumenti finanziari non comportano una garanzia di rendimento: quest’ultimo va sempre misurato in proporzione al rischio. Anche l’attività delle autorità di vigilanza non potrà mai essere una garanzia contro le perdite.

D. Cosa ne pensa dei Pir?
R. L’operazione sta riuscendo, anche se c’è carenza di sottostante: gli imprenditori ora devono cogliere l’occasione con nuove emissioni azionarie e obbligazionarie. Dal punto di vista degli investitori, per una valutazione sarà necessario attendere i rendimenti di fine periodo, a fronte delle commissioni iniziali. Un aspetto positivo dei Pir è l’incentivo a detenere i titoli per almeno cinque anni.

D. Con la Capital Markets Union (Cmu) il risparmio della clientela retail potrà confluire meglio alle imprese?
R. Questo è l’obiettivo. In Italia i bond delle grandi imprese sono collocati presso investitori istituzionali, a volte anche con lo scopo di evitare il prospetto. Così resta fuori il retail, a cui è vietato anche l’acquisto di minibond. È un paradosso, visto che il retail può, giustamente, acquistare azioni sull’Aim Italia. È un problema anche perché i minibond spesso non hanno le dimensioni e la liquidità per interessare gli istituzionali. Nel complesso il sistema dovrebbe evolvere per portare meglio il risparmio al finanziamento dell’economia reale e in particolare delle pmi. Un aiuto in tal senso potrà arrivare dalla Cmu.

D. Fino a poco tempo fa i piccoli risparmiatori hanno però investito molto nei bond bancari. Come lo spiega?
R. I motivi sono diversi, ma bisogna anche ricordare che le banche italiane, anche quelle più grandi, sono per lo più piccole nel confronto internazionale e questo significa che le loro emissioni non sono tali da attrarre i grandi fondi, gli investitori istituzionali. Quindi per le banche rivolgersi al retail è anche un’esigenza di mercato. (riproduzione riservata)
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