di Dario Ferrara
Il comune non può imporre ai cani la museruola nei luoghi pubblici sulla sola base della razza.
Sì al ricorso dell’associazione animalista, annullata l’ordinanza: studi scientifici dimostrano che non si può stabilire il rischio di una maggiore aggressività a partire dalla varietà genetica o dagli incroci.
Non si può imporre ai cani l’uso della museruola nei luoghi pubblici solo perché appartengono a una razza piuttosto che a un’altra. E ciò perché è la stessa letteratura scientifica in campo veterinario a spiegare che «non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane in base alla razza o ai suoi incroci». Risultato: deve essere annullata l’ordinanza del comune che disponeva l’obbligo facendo riferimento all’ordinanza del ministero della salute emessa il 14 gennaio 2008. È quanto emerge dalla sentenza 7100/16, pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio.
Caso per caso
Accolto il ricorso proposto dall’associazione animalista. Non soltanto perché si è proprietari di un mastino, di un pit bull o di un rottweiler si deve essere costretti a imporre la museruola al cane quando si esce di casa. Deve ritenersi superata l’ordinanza ministeriale cui si rifà l’amministrazione comunale nel suo provvedimento: in seguito lo stesso dicastero della salute ha chiarito che l’obbligo di adottare la museruola deve essere conseguente a una valutazione caso per caso operata dai servizi veterinari dell’azienda sanitaria locale. E che comunque la pericolosità del cane deve essere valutata in concreto, vale a dire soltanto in casi conclamati di aggressività o altri indici di rischio. Deve dunque essere annullato l’obbligo disposto a carico dei cani appartenenti alle razze di cui all’elenco allegato all’ordinanza risalente al 2008. Spese di giudizio compensate per la peculiarità della vicenda.
Va detto che di recente i giudici amministrativi sono stati chiamati più volte a occuparsi di Fido. È annullata, per esempio, l’ordinanza del comune che proibisce in modo indiscriminato l’accesso al parco ai cani perché il divieto risulta sproporzionato: ad assicurare l’igiene nelle aree, infatti, deve ritenersi sufficiente la legislazione statale che impone a proprietari e detentori di munirsi di guinzaglio e paletta per gli amici a quattro zampe; compete invece all’amministrazione locale garantire i controlli più adeguati affinché sia mantenuto il decoro nelle strutture. È quanto emerge dalla sentenza 5836/16, pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio.
Ancora. Il comune, per esempio, non può vietare l’ingresso ai cani se i parchi cittadini sono abbastanza grandi per creare una zona riservata dove i bambini possono giocare in tutta sicurezza e pulizia. Troppo gravoso il sacrificio dello stop imposto agli amici di Fido.
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