di Fabrizio Vedana 

 

L’imposta annuale sulle riserve matematiche va pagata dalla compagnia assicurativa; erano e restano vietati meccanismi attraverso i quali viene di fatto trasferito l’onere economico dell’imposta sugli assicurati.

Lo ha chiarito l’Istituto per la vigilanza sulle Assicurazioni (Ivass) con una nota-circolare del 9 luglio scorso inviata a tutte le imprese di assicurazione con sede legale in un altro Stato membro See (tipicamente Lussemburgo, Irlanda e Liechtenstein) e che esercitano in Italia attività assicurativa nei rami vita, in regime di libera prestazione dei servizi o di stabilimento.

L’Ivass, dopo aver ricordato che a partire dal 2012 esiste, per le citate imprese di assicurazione, l’obbligo del pagamento all’Erario italiano, con cadenza annuale, di un’imposta sulle riserve matematiche del ramo vita iscritte nel bilancio d’esercizio, chiarisce che sono vietate le soluzioni che prevedono la concessione, da parte degli assicurati italiani, di prestiti senza interessi a favore dell’impresa assicurativa per finanziare il pagamento dell’imposta; risulta parimenti vietata, afferma l’Ivass, la costituzione, da parte della compagnia assicurativa, di riserve infruttifere nelle quali destinare una parte dei premi pagati dagli assicurati per un ammontare che riflette l’aliquota fissata per l’imposta sulle riserve matematiche.

Meccanismi di pagamento di questo tipo, infatti, presentano diversi profili di criticità in ottica di tutela del consumatore.

Il soggetto su cui grava l’obbligo di adempiere al debito d’imposta è’ l’impresa di assicurazione: non appare quindi rispondente ai criteri di correttezza – precisa l’Ivass – che un tale onere venga finanziato dagli assicurati attraverso un’operazione atipica di mutuo che risulta del tutto estranea alle finalità del contratto di assicurazione vita e che determinerebbe anche dannosi effetti sul rendimento della polizza.

Evidente risulta essere anche il conflitto d’interessi che si verrebbe così a creare tra l’impresa e l’assicurato: la prima richiedendo un prestito per far fronte a un suo personale e diretto obbligo tributario danneggerebbe il cliente che ha invece l’interesse a vedere incrementato l’intero patrimonio conferito in polizza.

Il codice delle assicurazioni italiano, nell’articolo 183, impone alle compagnie di operare secondo principi di correttezza e trasparenza che le clausole o i meccanismi contrattuali sopra descritti andrebbero invece a inficiare.

L’Ivass invita quindi tutte le imprese estere operanti in Italia nei rami vita che abbiano deciso di esercitare l’opzione per il versamento dell’imposta sostitutiva sulle imposte sui redditi ai sensi dell’articolo 23-tre del dpr 600/73, di dare comunicazione alla Autorità di settore sulle modalità applicate per il relativo pagamento, illustrando gli interventi correttivi che verranno adottati nel caso in cui le soluzioni sino ad oggi adottate fossero quelle sopra illustrate considerate vietate con la circolare in commento.

Evidentemente il problema non si pone, e non si porrà anche nell’ambito di eventuali sottoscrizioni di polizze con denaro oggetto di voluntary disclosure, per quelle compagnie estere che, invece, avessero deciso di adottare schemi operativi che prevedono che le relative imposte vengano calcolate e versate da un intermediario italiano, normalmente una società fiduciaria, in esecuzione di un incarico contrattuale che preveda anche lo svolgimento dell’attività di sostituto d’imposta.

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