di Paola Valentini
Mentre il risparmio gestito fa boom con una raccolta che in sei mesi ha toccato 95,5 miliardi di euro, a un passo dal record di 100 miliardi e a fronte dei 133 miliardi di tutto il 2014, sono tornate sotto i riflettori le marcate differenze tra fondi di diritto italiano e fondi (o sicav) di diritto estero, questi ultimi collocati sul mercato italiano sia dai gruppi internazionali sia dalle società italiane che li hanno costituiti in Paesi europei dove il Fisco concede condizioni più favorevoli.
Il recente richiamo della Consob alle società di asset management sui metodi di prelievo delle commissioni di performance nei comparti esteri ha riacceso l’attenzione sul passaporto dei fondi, un aspetto che negli ultimi anni era finito nel dimenticatoio. Fino al 2011 infatti tra i fondi italiani e quelli fondi esteri esisteva un muro. I primi erano tassati per competenza (ciò significa che ogni giorno la quota è già al netto della tassazione, a prescindere dal guadagno), mentre per i secondi vigeva il principio della tassazione per cassa, quindi le imposte erano pagate dal sottoscrittore al momento del disinvestimento. Con la riforma del luglio 2011 è stata estesa ai fondi italiani la tassazione per cassa, dopo che per anni il profilo fiscale era stato argomento di battaglia da parte di Assogestioni. Ma ora la moral suasion della Consob riporta in auge le diversità. Nel dettaglio, il monito della Commissione di vigilanza presieduta da Giuseppe Vegas è rivolto ai distributori (quindi banche e reti di pf) di fondi esteri ed estero-vestiti. Questi rappresentano il 70% circa del patrimonio dei fondi collocati in Italia. Infatti per i fondi di diritto italiano la Banca d’Italia ha dettato dieci anni fa condizioni stringenti per l’applicazione delle commissioni di incentivo, la retribuzione del gestore commisurata alla performance del fondo, ma le stesse norme non sono presenti in tutti gli Stati europei. Il riferimento della Consob va soprattutto all’Irlanda e al Lussemburgo dove hanno residenza molti fondi di gruppi italiani, ma anche la maggior parte delle società estere. Una pratica, quella del passaporto straniero, che è in voga da anni e che è partita per sfruttare una fiscalità più bassa che questi Paesi offrono. E che ha anche risvolti sulla trasparenza e l’onerosità dei prodotti.
Oggi le pratiche più comuni utilizzate dai fondi esteri per definire le commissioni pagate sulle performance ottenute possono prevedere un calcolo anche mensile, utilizzare metodologie che escludono sia il benchmark, che l’applicazione del cosiddetto high water mark (il livello di rendimento da cui il gestore può pretendere la commissione di incentivo).
Invece in Italia il calcolo è annuale e deve essere legato al benchmark. Se la gran parte delle società di risparmio gestito italiane ha fondi e sicav all’estero, la mossa della Consob ha avuto risvolti particolarmente incisivi soprattutto sulle sgr quotate. Infatti i rispettivi titoli hanno accusato pesanti perdite all’indomani della comunicazione della Commissione. E la più esposta è risultata Azimut , perché la società di risparmio gestito guidata da Pietro Giuliani ha il 95% delle masse in fondi esteri. E il conto economico del gruppo guidato da Pietro Giuliani fa molto affidamento sulle commissioni variabili, che nel primo semestre del 2015 hanno rappresentato i due terzi dell’utile netto. «Dal 1992 a oggi, nonostante le nostre commissioni di performance, il risultato medio ponderato netto per i nostri clienti è superiore di oltre l’1% all’anno a quello medio dei nostri concorrenti, nello stesso periodo che è superiore a 20 anni», ha ribadito Giuliani. Il quale ha rivelato di aver investito 400 milioni netti, ovvero tutto il ricavato della vendita del suo pacchetto di azioni nell’ambito del rinnovo del patto di sindacato lo scorso maggio, proprio sui fondi lussemburghesi del gruppo «senza alcuna agevolazione sulle commissioni di performance». Giuliani ha sottolineato che «il valore dato ai clienti espresso da una performance media ponderata netta da inizio anno pari al 6%, due punti in più del settore, sia la risposta più esaustiva alla tutela dei loro interessi».
Per capire se tra i prodotti con diverso domicilio, oltre alle commissioni, ci siano anche differenze di rendimenti, Mf-Milano Finanza ha chiesto a Morningstar di elaborare una classifica dei migliori fondi esteri e fondi italiani per performance da inizio anno in sette categorie. Con una premessa: la maggior specializzazione dei fondi e delle sicav estere, grazie soprattutto ai grandi gestori internazionali, fa sì che in alcune categorie (ad esempio gli azionari Cina, gli azionari Giappone e gli obbligazionari corporate globali) non siano presenti fondi di diritto italiano, come risulta dai dati Morningstar. In ogni caso dall’analisi emerge che i gestori italiani spiccano quando giocano in casa. L’unica specializzazione, tra quelle esaminate, in cui al primo posto c’è un fondo tricolore è infatti quella degli azionari Italia. E il comparto in questione appartiene proprio alla scuderia Azimut . Si tratta dell’Azimut Trend Italia, che da inizio ha guadagnato il 39,7% quattro punti percentuali in più rispetto al primo tra gli esteri (Axa Framlington Italy con il 35,6%) e il 15% in più del Ftse Mib, che nel periodo guadagna il +24%. Il fondo è gestito dal 1999 da Fausto Artoni, da sempre considerato uno dei gestori più attivi di Piazza Affari. Il fondo Trend Italia negli ultimi 20 anni, ha battuto il mercato per 17 anni e la massima perdita rispetto al benchmark è stata di circa il 2%. A riprova del fatto che ci sono casi in cui l’abilità nella gestione giustifica le commissioni pagate. (riproduzione riservata)