Costituiscono attività pericolose non solo quelle che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche quelle altre che comportano la rilevante possibilità del verificarsi di un danno, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi usati.
Non solo nel caso di danno che sia conseguenza di una azione ma anche nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza, per cui, di regola, l’attività edilizia, massimamente quando comporti rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree, non può non essere considerata attività pericolosa.
Nel caso in esame gli scavi eseguiti nel terreno dell’attuale ricorrente avevano una profondità di m. 5,50 sotto il livello del piano di calpestio, come accertato dal giudice di merito, ed esattamente i giudici hanno ritenuto la responsabilità ex art. 2050 c.c., dei proprietari del terreno ove furono eseguiti i lavori.
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza l’affermazione che il proprietario che fa eseguire nel suo fondo opere di escavazione, risponde direttamente del danno che a causa di essi sia derivato al fondo confinante, anche se l’esecuzione dei lavori sia stata data in appalto, e dunque indipendentemente dal suo diritto ad ottenere la rivalsa nei confronti dell’appaltatore la cui responsabilità verso i terzi danneggiati può eventualmente aggiungersi alla sua, ma non sostituirla o eliminarla.
Cassazione civile sez. III, 18/05/2015 n. 10131