L’ingegneria finanziaria corre più del diritto. Logico che ciò renda insufficienti le norme sulla trasparenza. È così che la Consob, nel dicembre 2014, uniformandosi alle opinioni Esma del 7 febbraio e del 24 marzo 2014, ha pubblicato il rapporto sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi (97996/2014) nel quale «raccomanda» agli intermediari di astenersi dal consigliare e distribuire in via diretta alla clientela retail i prodotti complessi individuati nella predetta comunicazione (credit linked, derivati speculativi, cartolarizzazioni, co.co bond). Viene persino stilata una sorta di classifica di rischio, nella cui parte alta si trovano alcuni prodotti da considerarsi di sicuro tabù. La comunicazione lascia uno spiraglio: la raccomandazione può essere disattesa se l’intermediario ritiene che il prodotto si presti alla realizzazione degli interessi del cliente e vi siano informazioni sufficienti a valutarne caratteristiche e rischi. A quel punto, dopo una due diligence dell’operazione, che comporterà una profilatura rafforzata del cliente e una piena rivelazione dei metodi di valutazione e di pricing, l’intermediario potrà distribuire il prodotto, fermo l’onere di informare comunque il cliente del fatto che Consob non lo ritiene adatto ai clienti retail. Il tutto in base a specifica e motivata decisione dei vertici aziendali. Il 23 giugno Consob ha pubblicato alcuni chiarimenti applicativi della predetta comunicazione, il cui tenore svela la consapevolezza dell’Autorità dell’insuperabilità delle asimmetrie informative insite nella distribuzione di prodotti complessi, e dunque del limitato effetto degli obblighi di trasparenza. Il fatto che le prescrizioni sono contenute in una raccomandazione, strumento non proprio precettivo e finalizzato a dare chiarimenti interpretativi, non tragga in inganno. Non è una moral suasion, assimilabile alle scritte presenti sui pacchetti di sigarette, volta a sensibilizzare gli intermediari sulla pericolosità dei prodotti complessi. La raccomandazione potrebbe avere l’effetto di innalzare, in caso di contestazione da parte del cliente, il livello e la qualità della prova che l’intermediario dovrà fornire per dimostrare di aver agito con correttezza e trasparenza. In giudizio, insomma, la banca dovrà dimostrare di aver attuato tutte le specifiche valutazioni, rappresentazioni e cautele che valgano a provare le obiettive ragioni per cui essa abbia ritenuto di disattendere il suggerimento di astensione. Le relative procedure dovevano essere comunicate all’Autorità entro il 30 giugno. Che accadrà in concreto? Ci si accontenterà della solita crocetta di presa visione sul modulo che nessuno leggerà o davvero questa regola-non-regola comporterà un rischio processuale aggravato? Nel dubbio l’intermediario dovrà optare o per la scelta radicale di non vendere prodotti «vietati ai minori», oppure di venderli ma con un apparato di protezione che non potrà ridursi all’aumento della produzione cartacea. Il tutto in attesa di Mifid 2, che dal 3 gennaio 2017 introdurrà più stringenti regole sulla qualità dell’informazione. Ma in tutto ciò che fine hanno fatto gli scenari probabilistici? Forse s’annidano in quel richiamo (§ 4.2.2) all’uso di metodi coerenti con quelli impiegati dagli intermediari per valutare il prodotto, iscriverlo a bilancio e gestirne il rischio. Altro aspetto che gli intermediari non dovrebbero trascurare. (riproduzione riservata)
Roberto Pavia