La conformazione della strada e dell’incrocio e la velocità tenuta dal velocipede avrebbero consentito all’automobilista l’avvistamento dell’ostacolo con anticipo tale da eseguire una manovra di emergenza, quanto nel punto in cui si è affermato, indicandone le ragioni, che ad una velocità più ridotta dell’autovettura sarebbero corrisposte conseguenze diverse.
Si tratta di argomentazione pienamente rispettosa del principio interpretativo secondo il quale il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica – si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma con minore intensità lesiva.
Il concorso di cause può ritenersi escluso solo allorquando il conducente di un veicolo, nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica, si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di <avvistare> l’altro veicolo e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile.
Solo in tal caso l’incidente potrebbe ricondursi eziologicamente in misura esclusiva alla condotta del secondo conducente, avulsa totalmente dalla condotta del primo e operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, 21 aprile 2015, n. 16680