Prestare grande attenzione allo stato di salute della banca alla quale si affidano i propri risparmi e diversificare tra diversi istituti nel caso si posseggano quote di un certo rilievo. Sono i due consigli che arrivano dalle associazioni dei consumatori, dopo che sono stati comunicati i dettagli relativi al bail-in (salvataggio interno), il nuovo sistema per affrontare le crisi bancarie, che dal prossimo anno chiamerà in causa anche gli azionisti e i correntisti. Quanto a questi ultimi, la possibilità che vengano coinvolti è remota, e relativa alle somme superiori ai 100 mila euro, ma comunque c’è, se le risorse di altre categorie interessate non sono sufficienti.
«Innanzitutto va sgombrato il campo dalla bufala diffusa su vari fronti relativa a prelievi forzosi in arrivo», spiega Alessandro Pedone, responsabile tutela del risparmio dall’Aduc. «Piuttosto è bene che gli investitori si informino bene sul testo della norma e sui rischi che si troveranno a correre, ma senza allarmismi». Pietro Giordano, presidente nazionale di Adiconsum, sottolinea che quanto previsto dalla direttiva Bbrd (Bank recovery and resolution directive) «non è negativo per i risparmiatori in quanto i depositi fino a 100 mila euro non solo non sono toccati, ma vengono garantiti interamente da un Fondo di garanzia dei depositi. Già oggi, peraltro, il risparmiatore è chiamato a intervenire nel caso di difficoltà della banca, come dimostra la recente riduzione del valore delle azioni da parte di alcune banche popolari.
Laura Binarelli del Codacons ricorda che il bail-in «tende a tutelare e a salvaguardare la stabilità del sistema finanziario, chiedendo però un sacrificio rilevante anche ai piccoli risparmiatori, che saranno i più penalizzati dall’introduzione del nuovo meccanismo».
Chiarimenti da Bankitalia e Abi. Nei giorni scorsi, la Banca d’Italia ha pubblicato sul proprio sito Internet un documento («Che cosa cambia nella gestione delle crisi bancarie»), che spiega le novità introdotte dalla Direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche (n. 59 del 2014), che in Italia entrerà in vigore il 1° gennaio prossimo. I vertici dell’Abi hanno quindi invitato gli associati a diffondere le novità presso i risparmiatori, affinché siano messi in grado di fare scelte consapevoli.
La direttiva, che nasce con l’intento di gestire in maniera ordinata eventuali, nuove crisi bancarie, rovescia la prospettiva fin qui seguita nel Vecchio continente. I salvataggi non dovranno più essere interamente a carico degli stati, dato che questo ha portato a trasferire sui bilanci pubblici i problemi delle banche (con ricadute per tutti i contribuenti). Dal 2016, l’intervento pubblico sarà possibile soltanto in circostanze straordinarie, per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso. L’attivazione dell’intervento pubblico, come per esempio la nazionalizzazione temporanea, richiederà comunque che i costi della crisi vengano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8% del totale del passivo.
Cos’è il bail-in. In caso di un aggravarsi della crisi in capo alla banca, le autorità di risoluzione potranno intervenire a vari livelli: vendere una parte dell’attività a un acquirente privato; trasferire temporaneamente le attività e passività a un’entità (bridge bank) gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato; trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli; applicare il bail-in. Quest’ultimo consentirà alle autorità di disporre la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti (o la loro conversione in azioni) per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a ripristinare un’adeguata capitalizzazione e a mantenere la fiducia del mercato. L’intervento pubblico è previsto soltanto in circostanze straordinarie per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario. La sua attivazione richiede comunque che i costi della crisi siano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8% del totale. Concretamente questo porta alla riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o alla loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente.
Quali rischi per i risparmiatori. Detto delle procedure previste dalla normativa, proviamo a capire quali sono i rischi concreti in capo ai risparmiatori. Il bail-in si applica seguendo una gerarchia la cui logica prevede che chi investe in strumenti finanziari più rischiosi sostenga prima degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni. Quindi, esaurite le risorse della categoria più rischiosa, si passa a quella successiva. In primo luogo, si sacrificano gli interessi degli azionisti esistenti, riducendo fino ad azzerare (se necessario) il valore delle loro azioni. In secondo luogo, si interviene su alcune categorie di creditori, le cui attività possono essere trasformate in azioni (per ricapitalizzare la banca) e/o ridotte nel valore, nel caso in cui l’azzeramento del valore delle azioni non risulti sufficiente a coprire le perdite. Così, per esempio chi ha un’obbligazione bancaria, potrà vedersela convertire in azioni, magari con un valore ridotto. Sempre che le risorse recuperate dagli azionisti o dai titolari di bond subordinati (quindi più rischiosi) non si siano rivelate sufficienti a coprire il buco. E sempre che le autorità preposte non decidano di salvaguardare gli obbligazionisti (qui si entra nell’ambito delle scelte discrezionali).
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