di Roberta Castellarin

Lo stock di ricchezza delle famiglie italiane continua a essere consistente, nonostante una crisi economica che si protrae ormai da oltre sei anni e che ha comportato una contrazione del pil del Paese di oltre il 9%. Secondo i dati Banca d’Italia la ricchezza accumulata ammonta a 8.619 miliardi di euro. 
Di questi, circa 5 mila sono beni immobili mentre il resto è investito in attività finanziarie. Con questi numeri l’Italia resta uno dei Paesi più ricchi del mondo. Eppure questa massa di ricchezza finanziaria è poco collegata all’economia reale. Che invece continua a fare i conti con un costo del denaro ancora molto più caro di quello pagato da imprese e famiglie dei Paesi del Nord Europa. Come emerge dall’ultima analisi sul mercato dei prestiti europei fatta da Morgan Stanley. Lo studio rivela che per le Pmi della periferia il tasso medio da pagare è del 5,2% contro il 2,84% dei Paesi core, come Germania, Olanda o Belgio. Certo la T-Ltro annunciata dal presidente della Bce Mario Draghi potrà dare una mano in questo senso. Ma non sarà sufficiente a colmare il gap. Secondo gli esperti di Morgan Stanley infatti il costo di finanziamento per le piccole e medie imprese si potrà ridurre di 30-80 punti base in Spagna e soltanto di 10-40 punti base in Italia, perché qui la quota di prestiti alle pmi è maggiore e, vista la bassa redditività delle banche, si ipotizza che in Italia gli istituti di credito vorranno trattenere una quota maggiore del risparmio sul funding consentito dalla T-Ltro per migliorare la propria redditività.

 

Così oggi il rapido recupero di masse da parte degli asset manager, ma anche delle compagnie che propongono polizze finanziarie, potrebbe essere l’occasione per costruire un ponte di collocamento tra risparmi e Paese reale. 
Il tutto, poi, in un momento in cui la necessità di disintermediazione non è una questione solo italiana, ma europea. Come ha sottolineato uno studio di Société Générale intitolato «In the mood for loans». Dall’analisi emerge che è necessaria un’accelerazione del processo di disintermediazione da parte delle banche. «Standard & Poor’s ha stimato un bisogno di credito da qui al 2018 di 73 trillioni di dollari nel mondo e le banche potranno coprirne solo la metà». Il fenomeno riguarda in particolare l’Europa, dove l’80% dei prestiti è ancora in mano alle banche, mentre le obbligazioni corporate rappresentano soltanto il 20% della raccolta.

Sia i gestori sia le compagnie sono pronti a muoversi in questa direzione, ma chiedono da parte dello Stato una rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie (passata al 26% dal 1° luglio) in modo da incentivare gli investimenti di lungo termine.

In occasione della Relazione annuale, il presidente dell’Ania, Aldo Minucci, ha ricordato la «necessità di promuovere una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento alle imprese». E, a riguardo, il presidente dell’Ania è convinto che le assicurazioni possano svolgere un ruolo importante, dando un contributo significativo per favorire il passaggio a un più ampio, liquido ed efficiente sistema finanziario. «In Italia, il totale degli attivi delle compagnie ammonta a oltre 560 miliardi di euro, di cui quasi la metà è investito in titoli governativi italiani», ha affermato Minucci. «L’industria assicurativa, in questo scenario di bassi tassi di rendimento, ha un interesse specifico a migliorare la redditività e ad ampliare la diversificazione dei propri asset. Gli assicuratori, perciò, si sono dichiarati disponibili a investire una quota degli attivi in forme alternative di impiego, siano esse rivolte al finanziamento delle imprese o di opere infrastrutturali». Il presidente dell’Ania ha invitato il Governo a riflettere su una rimodulazione della fiscalità legata agli investimenti di lungo termine: secondo Minucci, perché le compagnie possano effettuare investimenti di più lungo termine e rispettare tra le altre cose le nuove regole di Solvency 2, è necessario incentivare i risparmiatori all’acquisto di «prodotti di risparmio di lungo termine». «È necessario, pertanto», ha concluso il presidente Ania, «incentivare i risparmiatori all’acquisto di «prodotti di risparmio di lungo termine».

 

Per questi prodotti, che dovrebbero avere una durata iniziale superiore ai cinque anni, la tassazione andrebbe ridotta al 12,5%. Incentivazioni analoghe sono state introdotte con successo in altri Paesi, ad esempio in Francia. Sulla stessa linea d’onda Assogestioni. Il presidente dell’associazione dei gestori, Giordano Lombardo, è convinto che sia il momento giusto per agire sul fronte della tassazione. «Ritengo sia necessario rivedere il quadro complessivo della tassazione sui proventi del risparmio. Questo regime fiscale non incentiva gli investimenti di lungo periodo e non considera il risparmio come una risorsa da investire nel Paese. Il mio auspicio è che il governo prenda delle misure a sostegno dei comportamenti virtuosi dei risparmiatori», dice Lombardo. Come ad esempio una rimodulazione nel tempo del prelievo fiscale che porti a un dimezzamento della tassazione al 26% dopo cinque anni e a un azzeramento dopo 10 anni di investimento. Un passaggio che aprirebbe più facilmente le porte a una canalizzazione di parte del risparmio verso le aziende e l’economia reale. (riproduzione riservata)