Se la sanità (pubblica) ha il fiato corto, giunge dai fondi di assistenza (privati) una preziosa boccata d’ossigeno. E a spingere perché nella «galassia» delle cure entri sempre più aria nuova (laddove quella del Ssn s’è, complice la crisi economica, pericolosamente rarefatta per continui tagli alla spesa, con l’Ocse che ne certifica la riduzione del 3% nel 2013, con una discesa totale al 9,1% del pil) è il parlamento che, nel documento conclusivo di una recentissima indagine conoscitiva realizzata dalle commissioni bilancio e affari sociali di Montecitorio, invoca il ricorso alle forme integrative «senza pregiudizi ideologici e valutando preventivamente, con molta attenzione, i costi e i benefici derivanti» dall’utilizzo di tali soluzioni.
E, nel testo, si suggerisce l’incentivo più appetibile per consentire alla «stampella» del servizio pubblico di conquistare più elevate vette di eccellenza: una «maggiore defiscalizzazione, i cui oneri per l’Erario troverebbero compensazione nella minor pressione che la polizza sanitaria può determinare sulla richiesta di prestazioni pubbliche, diminuendo» il numero di quelle erogabili dal sistema. È tempo di prendere atto, aveva detto tempo fa il presidente della XII commissione, Pierpaolo Vargiu (Sc) che «il nostro Ssn, così com’è, è insostenibile», che sono «in sofferenza parametri di equità e universalità e la gestione della cronicità non è adeguata. Conseguentemente, se la politica non avrà il coraggio di proporre soluzioni in discontinuità, mi sembra difficile che si possa andare avanti così», era stata la chiosa.
La salvezza, soprattutto per evitare che le fasce più deboli debbano rinunciare all’acquisto dei farmaci, o a essere assistite nelle strutture non a pagamento, sembra, dunque, risiedere nel potenziamento (ulteriore) dei fondi sanitari che, a diverso titolo, s’incaricano di coprire le necessità di lavoratori di varie categorie produttive, pensionati e loro familiari: si restituisce, fra l’altro, la quota versata per il ticket, c’è un contributo per le degenze e viene indennizzato quanto investito in cure odontoiatriche. L’inchiesta di IO Lavoro mette sotto i riflettori l’offerta di tre importanti organismi, ossia Assidai (manager), Coopersalute (operatori delle cooperative, ma non solo) e Cadiprof (dipendenti degli studi professionali), esempi di vitalità in un settore che, inevitabilmente, deve adeguarsi a nuove sfide, prima su tutte quella del «long term care», la protezione a lungo termine per guardare all’invecchiamento (e ai suoi possibili disagi) con maggiore serenità.
Ad oggi, la porzione di spesa di tasca propria («out of pocket») coperta dalle forme di welfare integrativo è pari, rivela l’analisi di Previmedical e Rbm salute, ad oltre 3,8 miliardi di tutta quella sanitaria nella penisola. Lo scenario, però, mostra un paese che viaggia (anche in questo caso) a due velocità: la crescita delle prestazioni dei fondi nell’ultimo quinquennio nel Nordovest si aggira sul 25%, al Centro è al 12%, nel Nordest al 9%, nel Sud e nelle Isole non raggiunge il 5%.