di Roberta Castellarin
Credit Suisse non lascia l’Italia, ma si concentrerà d’ora in poi sulle famiglie più ricche. In controtendenza con quanto stanno facendo molti gruppi bancari italiani, che hanno riscoperto la fascia di clientela abbiente ma con patrimoni finanziari inferiori al milione di euro, il gruppo elvetico mira a rinforzare la sua posizione proprio puntando a reclutare nuovi banker top. «Noi stiamo vivendo in un trend globale che porta le imprese, comprese quelle finanziarie, a rifocalizzarsi sul core business.
E per il Credit Suisse, fatta eccezione per le attività domestiche, il core business è rappresentato dal private banking di alto standing e dall’investment banking». Spiega così Giorgio Riccucci, che guida il private banking di Credit Suisse per la clientela italiana, la scelta di cedere a Banca Generali per circa 50 milioni di euro, il ramo d’azienda composto da 60 promotori che gestiscono 2 miliardi di clientela prevalentemente retail in Italia. Si lascia quindi un gruppo di banker con portafogli medi da 35 milioni di euro (e asset medi per clienti intorno ai 450 mila euro) per puntare su consulenti con portafogli superiori agli 80 milioni di euro, in linea con il mercato dei cosi detti high net e ultra high net.
Domanda. Quindi non state abbandonando il campo?
Risposta. Assolutamente no. Anzi, useremo i proventi della cessione del ramo per assumere 40 top advisor nei prossimi tre anni e per migliorare ulteriormente il servizio alla clientela in Italia. D’altronde da inizio anno nel solo segmento ultra high abbiamo raccolto 1 miliardo di euro e in Italia la banca alla fine dell’anno scorso contava asset per 20 miliardi di euro, con questa operazione ne cediamo soltanto due.
D. A quali clienti vi rivolgete?
R. I nostri clienti sono soprattutto imprenditori e professionisti. Proprio per offrire un adeguato servizio di consulenza è necessario che il cliente abbia un portafoglio importante (almeno 1 milione di euro, ndr), altrimenti se le disponibilità sono più basse il miglior strumento è rappresentato da un portafoglio di fondi che può essere offerto da una rete di promotori.
D. Come stanno cambiando le esigenze dei clienti?
R. Per chi è imprenditore un tema sempre importante è quello del passaggio generazionale. Poi, in Italia come nel resto del mondo, l’allungamento della vita media delle persone ha un impatto rilevante sulle banche. Ovviamente per i clienti la prima preoccupazione è accantonare patrimoni per garantirsi un tenore di vita adeguato quando cesseranno l’attività lavorativa. Noi li aiutiamo in questo percorso individuando gli strumenti che permettono di ottimizzare i diversi elementi che entrano in gioco.
D. Compresa la tassazione che in Italia negli ultimi anni si è focalizzata soprattutto sulle rendite e sui patrimoni?
R. Certo, è uno dei fattori da tenere in considerazione. Strumenti come i fondi e le polizze consentono di pagare l’imposta sul capital gain nel momento in cui si smobilizza l’investimento e di compensare nel frattempo plus e minusvalenze.
D. Dal punto di vista delle scelte d’investimento, vivere in una fase di tassi ai minimi che cosa comporta?
R. Bisogna aiutare i clienti a non farsi allettare da titoli che offrono ancora rendimenti elevati, ma espongono a un forte rischio di credito.
D. Le azioni continuano a essere poco presenti nei portafogli?
R. Sì, i clienti italiani hanno una forte resistenza a investire in borsa. Nonostante crediamo che questo sia ancora un momento favorevole per le azioni, la loro esposizione resta bassa se confrontata con quella degli investitori anglosassoni a parità di profilo di rischio. (riproduzione riservata)