Nel demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.
Mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale -da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno- va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti:
– caratteristiche
– durata
– gravità
– conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione
– frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale
– effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto
si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno.
Cassazione civile sez. lav., sentenza del 18 marzo 2014 n. 6230