di Francesco Ninfole

La crisi finanziaria ha evidenziato con chiarezza che il fallimento di una singola banca può causare gravi conseguenze per la stabilità finanziaria di un Paese. Per questa ragione gli Stati hanno dovuto sborsare centinaia di miliardi per salvare gli istituti (in Italia è successo in misura limitata). È questo il contesto nel quale rientrano le proposte Ue sulla risoluzione delle crisi bancarie, che hanno l’obiettivo di creare una struttura definita per la gestione degli istituti in difficoltà (e non improvvisata, come accaduto nel caso di Cipro) e che coinvolga il meno possibile il denaro dei contribuenti.

In attesa che la Germania dia il via libera al meccanismo unico di risoluzione (Srm, che prevede un’autorità e un fondo unico europeo di risoluzione), l’Ecofin ha già dato a fine giugno un importante via libera alla Bank recovery and resolution directive (Brrd): con quest’ultima intesa gli Stati hanno deciso che nelle crisi di una banca i depositi sotto i 100 mila euro non saranno toccati; che la banca debba contribuire attraverso capitale e debito (il cosiddetto bail-in) a ripianare perlomeno l’8% del passivo; che in seguito un fondo di risoluzione, alimentato dalle banche in dieci anni (per un importo pari allo 0,8% dei depositi garantiti), possa contribuire con risorse fino al 5% del passivo.

 

Ma quali saranno le conseguenze per le banche italiane? Il conto è stato fatto da Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim, che ha indicato due tipi di effetti: il primo è il denaro che le banche dovranno fornire per costituire il fondo di risoluzione; il secondo è il cambiamento delle strategie della raccolta bancaria. Quanto al primo punto, Equita stima che il costo post tasse del fondo di risoluzione nazionale per le banche italiane sarà di 184 milioni di euro all’anno per dieci anni: un valore che (attualizzato) è pari complessivamente a 1,2 miliardi, tale da implicare un impatto negativo sugli utili 2014 e sulla valutazione del 2-3%. Si tratta comunque di livelli che Razzoli giudica «gestibili» dalle banche italiane e che comunque rappresentano il prezzo da pagare per un passo avanti verso l’Unione bancaria: anzi si potrebbe persino dubitare delle dimensioni totali del fondo al termine dei dieci anni (un valore che sarà inferiore a quello dei Tremonti bond di Mps). Il calcolo di Equita si basa su una stima di conti correnti garantiti (utilizzati come mezzo di pagamento e non come investimento) pari a 353 miliardi di euro, cioè l’80% dei depositi totali e il 25% della raccolta delle banche. In proporzione rispetto alla capitalizzazione, lo sforzo maggiore dovrà essere sostenuto da Creval (10%) e Banco Popolare (4%), mentre Ubi, Credem e Intesa sono quelle meno colpite (2%).

 

Ma è forse il secondo aspetto, quello relativo alla gestione della raccolta, che inciderà maggiormente sulle banche, anche se in questo caso è impossibile stimarne in anticipo il costo esatto. La normativa europea, sottolinea Razzoli, causerà innanzitutto l’aumento dei costi della raccolta dal 2018 (ma la Bce spinge per anticiparne l’entrata in vigore al 2015), soprattutto attraverso le emissioni di bond delle banche il cui capitale non raggiunge l’8% del passivo totale: questo perché il capitale, secondo il meccanismo di risoluzione Ue, sarà il primo ad essere azzerato, seguito da bond subordinati e poi da bond senior. Di conseguenza le banche con più capitale e meno debito (quindi quelle con meno leva) saranno le più avvantaggiate dalle nuove regole. Equita evidenzia che la disciplina del bail-in è in effetti un altro modo per rimettere al centro dell’attenzione gli indicatori sulla leva, per il momento messi in secondo piano da Basilea 3. Il deleveraging ora sarà ulteriormente incentivato. La risoluzione in Italia penalizzerà meno le banche medie come Bpm, Bper e Ubi, che hanno una maggiore capacità di assorbire eventuali perdite (cioè hanno un capitale più vicino all’8% del passivo, come si vede dalla tabella in pagina). Inoltre, osserva Razzoli, le banche medie sono più attive nel settore dei mutui e quindi potranno aumentare le emissioni di titoli esclusi dal bail-in, come i covered bond. Equita ricorda tuttavia che le banche maggiori hanno più facilità di accesso ai mercati e più elevati tassi di copertura delle sofferenze. Dal punto di vista delle scelte di investimento, i titoli preferiti del broker sono Unicredit e Mediobanca, che hanno anche multipli di prezzo giudicati favorevoli. (riproduzione riservata)