Il governo Usa ha il via libera per l’azione legale intentata nel febbraio scorso contro Standard & Poor’s, alla quale chiede 5 miliardi di dollari (3,8 miliardi di euro) di danni per aver contribuito in maniera determinante a scatenare la crisi dei mutui subprime nel 2008. La causa, che non ha precedenti, era stata temporaneamente sospesa dalla magistratura su istanza dell’agenzia di rating, ma è stata sbloccata in questi giorni dalla Corte federale di Santa Ana, in California.
Il governo Obama ha citato in giudizio Standard & Poor’s, agenzia di rating tra le più importanti al mondo, accusandola di aver emesso valutazioni «troppo rosee» su migliaia di titoli e derivati basati su mutui subprime, poco prima che si verificasse il crollo del mercato americano dei titoli immobiliari.
Nel dare il via libera alla causa legale, il magistrato ha stabilito che il governo ha il diritto di perseguire la tesi che S&P abbia manipolato i rating, nascondendo rischi e conflitti di interesse che le erano noti.
Secondo i dati presentati, nel periodo dal settembre 2004 all’ottobre 2007, S&P avrebbe fornito il rating per oltre 2.100 miliardi di euro di mutui subprime e 900 miliardi di euro di derivati.
Catherine Mathis, portavoce di S&P, ha replicato che le accuse di disonestà sono «aria fritta». «Siamo fermamente convinti che i rating della S&P erano e sono indipendenti e ci prepariamo a dimostrarlo di fronte al tribunale», ha detto.
Nell’udienza convocata dal giudice Carter l’8 luglio per decidere sulla sospensione, S&P aveva insistito a più riprese che nessun investitore ragionevole si sarebbe basato sulle sue affermazioni di indipendenza e oggettività.
«S&P ha sostenuto che, dato che le banche emettitrici avevano accesso alle stesse informazioni e agli stessi modelli dei suoi analisti, non avrebbero potuto essere tratti in inganno da rating difettosi», ha scritto Carter. «Ma allora, se nessun investitore credeva all’oggettività della S&P, e tutte le banche avevano accesso alle stesse informazioni e agli stessi modelli di S&P, ciò significa che, secondo l’azienda, il suo stesso servizio di rating avrebbe aggiunto assolutamente zero alle previsioni di affidabilità?».
La decisione di procedere civilmente contro il colosso finanziario americano e mondiale non ha precedenti e per la prima volta un’agenzia di rating potrebbe essere chiamata a pagare per la crisi del 2008. Tuttavia, alla luce dell’esclusione dalle accuse dei due principali concorrenti di S&P, Moody’s e Fitch, e delle conclusioni, ancorché votate a maggioranza, della commissione federale Financial Crisis Inquiry Commission, che chiama in causa soprattutto la Fed e il governo Bush, S&P potrebbe assumere un po’ i connotati del capro espiatorio.
Contemporaneamente al Dipartimento della giustizia, avevano presentato le carte in tribunale contro S&P anche i procuratori di 14 stati diversi e quello del District of Columbia, che comprende la capitale.
Per questo il giudice federale Jesse Furman, della corte distrettuale di Manhattan, ha fissato al 4 ottobre un’udienza per esaminare sia la richiesta di S&P di bloccarle sia la richiesta degli stati querelanti di rinviare le cause ai vari tribunali locali, sottraendoli alla corte federale. Unire le diverse azioni legali in un’unica causa federale conviene a S&P per ridurre le spese legali ed evitare sentenze multiple o contraddittorie fra loro.
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