«Bisogna che tutto cambi affinché tutto resti tale e quale»: il motto-anatema del Gattopardo si riafferma periodicamente, in Italia, su tutti i settori della vita pubblica «regolata». Ennesimo esempio, la Rc auto. Si è ripetuto nei giorni scorsi il vecchio e noioso balletto delle cifre sugli aumenti tariffari: per l’Autorità (com’è stato ribattezzato l’Isvap dopo essere stato assorbito, per manifesta inadeguatezza, dalla Banca d’Italia) i prezzi sono troppo cari, sopra la media Ue; per gli assicuratori sono scesi del 6% in un anno, e il vero problema – semmai – è che con la crisi economica che c’è, sarebbero saliti a 3 milioni i veicoli non assicurati in circolazione.
La verità è che in Italia – ma soprattutto nelle regioni del Sud, con un record mondiale in Campania – le compagnie vengono crivellate dalle truffe. Che non impugnano le false denunce più se non nei casi di pretese smodate da parte dei truffatori, perchè trascinare in giudizio un cliente furbastro – che s’accontenta di 1.000 euro non meritati per firmare – significa spenderne di più per avvocati e bolli vari. Inoltre, il valore del «danno biologico» resta disancorato da qualsiasi criterio oggettivo e, peggio ancora, rimesso a «tabelle» preparate da ciascun tribunale e applicate distretto giudiziario per distretto giudiziario, con discrasie e sproporzioni clamorose.
Questa incompatibilità tra le cifre delle compagnie di assicurazioni e dell’Autorità di controllo basterebbe da sé a dipingere come poco serio l’intero settore. Un po’ come le diatribe sui manifestanti di piazza San Giovanni – che sono sempre oltre un milione per chi organizza e centomila per la questura – o come gli applausi ai comizi dei leader, che – nei resoconti interni – sono sempre scroscianti anche quando batte le mani soltanto il servizio d’ordine.
In realtà la malapianta della truffa alligna perché contamina tutta la filiera del business: i clienti disonesti e i loro avvocati, certo, ma in tanti casi purtroppo anche i riparatori, i periti, i liquidatori. La gestione delle compagnie, tradizionalmente pessima in Italia, aggrava il quadro. Ed ecco che alla fine l’unica leva di sopravvivenza per i nostri assicuratori è tenere alte tutte le tariffe. A nostre spese.
Eppure la «bacchetta magica» c’è e si chiama «scatola nera»: quell’aggeggio che registra tutto ciò che capita all’auto: accelerazioni, frenate, sbandate, urti, tamponamenti. Con la «scatola» non si può più simulare niente. Una disfatta per i truffatori. E cosa fa l’Ivass? Dice: «Alt, va tutelata la privacy». Detto ai tempi della scia elettronica, di Google e dei social network che sanno tutto di noi, è veramente incredibile.