Di Andrea De Biase
«Chissà se questa notte Babbo Natale passerà anche per me!» A rileggere ora, a sette mesi di distanza, il messaggio lasciato da Jonella Ligresti sulla sua pagina personale del social network Facebook, viene da pensare che il Babbo Natale al quale si riferiva l’ex presidente di Fondiaria-Sai fosse l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel. Già allora, prima che scoppiasse il giallo del presunto patto segreto tra i Ligresti e la banca d’affari relativo alla liquidazione della famiglia, le cronache raccontavano della disponibilità delle banche creditrici di Premafin e FonSai a trovare, pur nell’ambito di un cambiamento negli assetti proprietari del gruppo, qualche soluzione che consentisse agli ex azionisti di riferimento di essere liquidati con soddisfazione. Ma era un’epoca fa e la Consob non aveva ancora condizionato il proprio ok all’operazione Unipol-FonSai all’assenza di premi e benefici per gli ex azionisti di riferimento di Premafin. Il 23 dicembre 2011, quando il cda di Fondiaria-Sai, dopo settimane di resistenze da parte dei Ligresti, ammise che la compagnia aveva bisogno di un’ingente operazione di rafforzamento patrimoniale, Salvatore Ligresti e i suoi figli avevano ancora un discreto peso negoziale e potevano cercarsi il Babbo Natale che meglio li avrebbe ricompensati per la disponi- bilità a farsi da parte. Senza il loro assenso non sarebbe infatti stato possibile per nessuno procedere al salvataggio della compagnia. Una ricapitalizzazione di FonSai che non fosse passata da Premafin avrebbe di fatto sancito il default della holding, facendo perdere tutto alla famiglia. Ma una prospettiva del genere sarebbe stata dannosa anche per le banche, a partire da Unicredit e Mediobanca, che avrebbero perso gran parte dei 368 milioni di crediti nei confronti di Premafin. Per salvare FonSai, dunque, era necessario salvare anche Premafin. Ma per farlo era necessario scendere a patti con i Ligresti. Almeno fino al 13 gennaio, quando è stata siglata la prima intesa tra Premafin e i bolognesi, i Ligresti hanno avuto voce in capitolo nella scelta del futuro partner di FonSai. Più fonti coinvolte nell’operazione hanno infatti confermato a Milano Finanza che nei giorni immediatamente successivi al cda di FonSai del 23 dicembre, i Ligresti avevano accettato l’offerta presentata dalla Palladio Finanziaria, ma la cui esistenza è stata sempre ufficialmente smentita dai vicentini, volta a dotare Premafin delle risorse finanziarie necessarie a seguire l’aumento di capitale della compagnia assicurativa, che in quel momento era stato indicato in 750 milioni. Per formalizzare l’accordo, che prevedeva l’ingresso della Palladio nel capitale di Premafin acquistando i diritti d’opzione dalle società della famiglia, comprese anche Sinergia e Im.Co, mancava solo l’ultimo ok da parte dell’Ingegnere di Paternò. Attorno al 28 gennaio tutto era pronto per la firma, ma al momento cruciale, stando a quanto riferito dalle fonti interpellate, Salvatore Ligresti si sarebbe congedato da Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago. «Scusate, devo andare dal medico», avrebbe detto l’Ingegnere, lasciando i due finanzieri negli uffici milanesi (molto probabilmente quelli di Banca Leonardo) dove si stava finalizzando l’intesa. In realtà il patron del gruppo FonSai, anche su suggerimento dell’ad della compagnia, Emanuele Erbetta, preoccupato dal possibile break-up del gruppo a opera dei futuri partner finanziari, si sarebbe recato in Piazzetta Cuccia per incontrare Nagel, che nel frattempo aveva messo a punto una soluzione alternativa a Palladio, che prevedeva il coinvolgimento di Unipol. Il 30 dicembre MF-Milano Finanza titolava in prima pagina Ligresti torna a Mediobanca e nell’articolo all’interno raccontava i dettagli del riavvicinamento tra l’Ingegnere e Nagel. Ancora in quella fase, dunque, i Ligresti, pur di fronte alle pressioni di Unicredit e delle altre banche, che avevano negato l’ennesimo rifinanziamento per Sinergia e Im.Co, erano ancora liberi di negoziare la soluzione loro più congeniale, facendo leva sulla necessità di un loro assenso all’operazione per spuntare condizioni migliorative. Nei primi giorni di gennaio, non era poi nemmeno così scontato che i Ligresti decidessero di chiudere con Unipol. Le manifestazioni di interesse, più o meno informali, arrivate sui tavoli dei vari advisor coinvolti, da parte di Clessidra, Sator, Apax, 21 Investimenti e ancora da Palladio, permettevano alla famiglia di alzare continuamente la posta. Secondo il racconto di un top banker, che ha seguito in prima persona quella fase negoziale, l’ormai famoso foglietto a quadretti sul quale Salvatore Ligresti avrebbe elencato le richieste della famiglia (una sorta di letterina a Babbo Natale, parafrasando le parole di Jonella) sarebbe più volte comparso nel corso delle trattative. Il ventaglio di richieste, diversamente modulate a seconda dei desiderata dei vari componenti della famiglia, andava dalla possibilità di mantenere un ruolo sia azionario sia manageriale nella nuova FonSai, fino a una consistente liquidazione nel caso l’eventuale acquirente non fosse stato disposto ad avere come soci i Ligresti. Tuttavia, ciò che interessava di più alla famiglia, specie a Salvatore e Paolo Ligresti, era la possibilità di continuare ad avere voce in capitolo sull’ingente patrimonio immobiliare del gruppo e a mantenere anche la proprietà di alcuni cespiti di particolare valore affettivo per la famiglia stessa, come le residenze all’interno della tenuta Cesarina, l’azienda agricola alle porte di Roma, rimasta nel perimetro di Sinergia-Im.Co, dopo che nel 2009 i Ligresti avevano cercato invano di cederla a FonSai nel tentativo di dare un po’ di ossigeno alle holding immobiliari. Il tentativo della famiglia di giocare su più tavoli, portato avanti anche dopo la firma del contratto in esclusiva tra Premafin e Unipol del 29 gennaio, finalizzato proprio a ottenere il massimo dalle varie controparti. Tuttavia le soluzioni avanzate dalla maggioranza dei soggetti interessati a FonSai erano di natura prevalentemente finanziaria e difficilmente avrebbero ottenuto il gradimento dell’Isvap, impegnata a garantire al gruppo assicurativo una stabilità patrimoniale di medio periodo. Al di fuori di Unipol, invece, di gruppi assicurativi interessati a rilevare tutta Fondiaria-Sai, non si vedeva nemmeno l’ombra. Anche un colosso delle polizze come la francese Axa, i cui vertici a fine dicembre avevano avuto più di un contatto con il management di FonSai, tra cui il direttore generale Piergiorgio Peluso, aveva mostrato interesse solo per la Milano Assicurazioni. Un interesse dovuto al fatto che la controllata di FonSai altro non è che una rete di agenti e liquidatori, con una quota di mercato invidiabile e con molti meno problemi a livello patrimoniale rispetto alla capogruppo. Una sua alienazione, almeno in quella fase di mercato, avrebbe portato un beneficio immediato ai ratio di Fondiaria-Sai ma non avrebbe comunque permesso di massimizzare il prezzo dell’eventuale cessione. Per questo, quando l’ipotesi di una vendita della Milano fu sottoposta al comitato esecutivo di FonSai, fu subito accantonata. L’unica via percorribile rimaneva dunque la doppia ricapitalizzazione di Premafin e Fondiaria-Sai. Il margine di solvibilità consolidato che a fine dicembre era stato indicato dal consiglio di amministrazione al 90%, senza tenere conto degli effetti del decreto Milleproroghe (che sterilizzava l’impatto sui conti del deprezzamento dei titoli di Stato in portafoglio), era in realtà più vicino al 50%. Solo l’integrazione con Unipol poteva dunque rappresentare la soluzione per evitare il commissariamento della compagnia da parte dell’Isvap e garantire allo stesso tempo sia le banche sia gli
stessi Ligresti. Il primo accordo tra la famiglia, Premafin e il gruppo bolognese venne così siglato il 13 gennaio, al termine di un lungo e serrato negoziato, nel corso del quale l’ad di Unipol, Carlo Cimbri, minacciò più volte di alzarsi dal tavolo. Di fronte alle continue richieste della famiglia, che avevano messo in bilico il buon esito della trattativa, il numero uno del gruppo bolognese aveva addirittura lasciato l’Italia, partendo per le vacanze all’estero, tanto che seguì la parte finale del negoziato in teleconferenza, senza partecipare alla riunione fiume del 13 gennaio in Unicredit, quando venne posta la prima firma sull’accordo preliminare. Quel summit in Piazza Cordusio fu una sorta di vero e proprio psicodramma, con Salvatore Ligresti, assistito dall’ex ministro Ignazio La Russa in qualità di amico e consulente della famiglia, impegnato nel vano tentativo di rimettere le mani sulle proprietà immobiliari da tempo cedute al gruppo assicurativo. L’accordo, raggiunto a tarda notte, prevedeva che il gruppo bolognese rilevasse il 50,1% di Premafin in portafoglio alle holding lussemburghesi di Jonella, Giulia e Paolo Ligresti, a Sinergia e a Im.Co, pagando complessivamente alle società della famiglia 77 milioni di euro: circa 0,35 euro per ciascuna azione Premafin, con una valorizzazione implicita del titolo FonSai di 3,6 euro, oltre 5 volte il prezzo di mercato, che in quella fase si aggirava a 0,68 euro. Unipol si impegnava inoltre a riconoscere a Salvatore Ligresti e ai suoi figli un patto di non concorrenza della durata di 5 anni, a fronte di un corrispettivo annuo lordo di 700 mila euro ciascuno. Altri 14 milioni in tutto, che avrebbero fatto salire il beneficio per la famiglia a oltre 91 milioni. Senza contare gli altri 30 milioni che, in virtù dell’opa su Premafin che Unipol era tenuta a lanciare, sarebbero finiti nelle casse dei due trust off-shore, titolari di circa il 20% della holding, e le cui azioni allora non erano ancora state sequestrate. Ma anche senza considerare i milioni di euro che sarebbero finiti a Bahamas e a Panama, i 91 milioni che la famiglia avrebbe incamerato ufficialmente potevano già considerarsi un bel premio. Specie se si osserva che Unipol non intendeva lanciare l’opa su FonSai e Milano e che per questo aveva chiesto l’esenzione alla Consob. Così congegnata, l’operazione premiava solo i soci di Premafin (e dunque i Ligresti) lasciando a bocca asciutta gli azionisti di FonSai e Milano. Ecco perché solo pochi giorni dopo il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, fece capire a Unipol, attraverso una costruttiva moral suasion, che l’operazione sarebbe passata solo se fosse stata modificata eliminando il premio riconosciuto ai soci Premafin e ai Ligresti. A questo punto l’accordo ha rischiato seriamente di saltare. Senza più alcun premio, per i Ligresti la cessione di Premafin e FonSai si era trasformata in una sorta di esproprio. Poco importava se cedere il controllo fosse l’unico modo di salvare la holding dal default MESI CON FINALE A SORPRESA Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio 12 luglio La Procura sequestra la lettera sul presunto patto Ligresti-Mediobanca 17 aprile Il pm Orsi chiede il fallimento di Sinergia e Im.Co 16 maggio Visita di Jonella Ligresti Rossello in 6 ita esti e Cristina Mediobanca 23 maggio La Consob dice no a manleva e recesso per i Ligresti 19 marzo I sindaci FonSai rispondono alla denuncia di Amber sulle operazioni con i Ligresti e la compagnia dal commissariamento. Senza più i benefici monetari per previsti dal primo accordo, i Ligresti erano pronti a fare saltare l’operazione. Che si fosse ormai a un passo dalla rottura emergeva chiaramente dalle cronache. Il 25 gennaio Il Sole 24 Ore titolava Ligresti punta i piedi sul riassetto. Ma ormai, almeno ufficialmente, non c’era spazio per ulteriori mediazioni. L’operazione fu rimodulata da Unipol per non incorrere nell’obbligo di opa a cascata su FonSai e Milano. I bolognesi avrebbero preso il controllo di Premafin e indirettamente del gruppo assicurativo attraverso un aumento di capitale riservato della holding da realizzarsi non appena ottenute tutte le autorizzazioni. Nel frattempo Premafin si impegnava in un contratto di esclusiva con Unipol a non negoziare o sollecitare altre offerte con soggetti terzi. Un divieto che valeva solo per la holding ma non per i suoi soci. I Ligresti, che avrebbero potuto monetizzare le loro azioni in Premafin esercitando il diritto di recesso al momento della programmata fusione con FonSai, Milano e Unipol Assicurazioni, erano dunque liberi di muoversi su altri tavoli. Visto che Unipol non si era rivelato un Babbo Natale particolarmente generoso, perché non rivolgersi a qualcun altro, come Sator e Palladio, che magari avrebbe consentito alla famiglia di continuare ad avere un ruolo nel gruppo assicurativo, mantenendo anche i privilegi di cui aveva beneficiato fino ad alloAlberto ra? Facendo leva su questo sarebbe dunque stato possibile cercare di costringere Unipol e i suoi sponsor, Mediobanca e Unicredit, a mettere sul tavolo qualcosa in più del solo pagamento del diritto di recesso, allora stimato tra i 40 e i 50 milioni. Il giallo del patto occulto tra Ligresti e Mediobanca nasce proprio qui. Quell’elenco di benefici per la famiglia riportati sul documento sequestrato dal pm Luigi Orsi nella cassaforte dell’avvocato Cristina Rossello (che è anche il segretario del patto di sindacato di Mediobanca) datato 17 maggio contiene unicamente i desiderata della famiglia, come sostengono in Piazzetta Cuccia, o è davvero il testo di un accordo raggiunto tra Salvatore Ligresti e Alberto Nagel, pochi giorni prima che la Consob imponesse a Unipol, per ottenere l’esenzione dall’opa, di eliminare anche il diritto di recesso dai benefici concessi ai Ligresti? Venerdì 27 luglio Mediobanca, su richiesta della Conson, ha ribadito «di non aver stipulato alcun accordo con la famiglia Ligresti nell’ambito del progetto di integrazione» tra Unipol e Premafin. Quest’ultima, dove l’unico rappresentante della famiglia Ligresti rimasto in cda è Giulia, ha invece fatto sapere «di non essere in possesso di informazioni riferibili a detti accordi ». Questo anche se Salvatore Ligresti, uno dei presunti firmatari del patto, è tuttora presidente onorario della stessa Premafin. Chi avrà ragione? I Ligresti, che di fronte al pm Orsi avrebbero avvalorato la tesi del patto occulto, o Mediobanca? Solo l’autorità giudiziaria è in grado di mettere una parola definitiva sulla questione. Se dovesse emergere che un patto occulto è stato davvero raggiunto tra Ligresti e Mediobanca, la Consob non avrebbe altra strada che imporre a Unipol l’opa a cascata su tutte le società coinvolte nell’operazione, mettendo di fatto la parola fine all’intero progetto di integrazione, che diventerebbe a quel punto troppo oneroso. Sempre venerdì 27 luglio, lasciando la sede di Mediobanca, dove non era presente Nagel, ancora all’estero per impegni di lavoro, Cimbri ha comunque manifestato il suo ottimismo sul fatto che l’operazione andrà comunque a buon fine. «Perché dovremmo essere preoccupati? Abbiamo già detto che non siamo a conoscenza di nessun accordo», ha affermato il numero uno del gruppo bolognese. Cimbri ha inoltre precisato di non conoscere l’avvocato Rossello, nella cui cassaforte è stata sequestrata il testo del presunto patto. «L’ho sentita nominare per la prima volta in questi giorni. Non ha mai partecipato a riunioni e incontri e non è mai stata coinvolta nell’operazione né per conto di Premafin né per Mediobanca». (riproduzione riservata)