Massimo Giannini

Sono passati ormai quasi otto mesi, e la vicenda Fonsai oscilla tra la telenovela sudamericana e il film dell’orrore. Ogni giorno ha la sua pena. L’offerta di Unipol si arena e poi riparte. La controfferta di Sator-Palladio emerge e poi si inabissa. La Consob prova a diradare le nebbie, la Procura vuole vederci più chiaro, il custode giudiziario irrompe sulla scena come un elefante nella cristalleria. Solo l’Isvap continua a dormire il sonno degli ingiusti, come ha fatto regolarmente e irresponsabilmente per tutti questi anni. Il «borsino» degli ultimi giorni vede un palese vantaggio per la soluzione proposta da Cimbri, che sopravanza quella sostenuta da Arpe. Lo snodo, a questo punto, sono gli aumenti di capitale prima di Unipol e poi di Fonsai, sui quali la Vigilanza di Borsa guidata da Vegas si sta prendendo il suo tempo. Il via libera ai prospetti dovrebbe arrivare entro questa settimana. Nel frattempo, le azioni di disturbo si moltiplicano. La famiglia Ligresti, da don Salvatore ai suoi figli, non finisce di stupire per l’impudenza con la quale cambia idee, schieramenti e carte in tavola da un momento all’altro. Il tutto accade sulla pelle di 8 milioni di assicurati, che aspettano di sapere di che morte devono morire. Vogliamo dirlo? Questa vicenda è una vergogna italiana. Per come è nata e per come si sta avviluppando. La contesa tra i due «cavalieri», bianchi o neri che siano, riflette purtroppo le miserie del capitalismo italiano. È chiaro a tutti che il piano Unipol ha un senso

industrialeassicurativo, mentre il piano Sator-Palladio ha un senso finanziario-speculativo. Ed è chiaro a tutti che il primo sacrifica la Famiglia per preservare un sistema di potere (la filiera Mediobanca-Unicredit-Generali) mentre il secondo fa leva sulla stessa Famiglia per sabotare quello stesso sistema di potere. Il problema, in questo gioco di ruolo che si consuma alle spalle dei cittadini utenti e piccoli azionisti, è che nessuno dei giocatori si può considerare senza peccato. E che di altri giocatori in vista, purtroppo, non se ne vedono (chi invoca i francesi farebbe bene a riflettere su cosa hanno fatto i cugini di Lactalis sulla cassa di Parmalat). La verità, amara quanto si vuole, è che Fonsai andava commissariata già due o al massimo un anno fa, quando tutto era già chiaro. La procedura concorsuale sarebbe durata qualche anno, qualche commissario si sarebbe arricchito, forse il gruppo sarebbe stato smembrato e rivenduto a spezzatino, gli immobili da una parte e le polizze dall’altra. Ma almeno i Ligresti sarebbero usciti di scena con il meritato disonore, e le banche che li hanno foraggiati avrebbero pagato il giusto prezzo per tanta dissennata «generosità». Ormai è troppo tardi. Ma una sana «sanzione», sociale oltre che economica, è l’unica cosa che permette al mercato di rigenerarsi. m.giannini@repubblica.it