di Ester Corvi
Nati una decina di anni fa, i fondi sovrani hanno conquistato crescente spazio, affermandosi fra i protagonisti dei mercati finanziari mondiali. Lo sottolinea un studio realizzato dalla Consob, che ha confrontato la loro presenza sui listini internazionali, interrogandosi sugli aspetti positivi e negativi legati alla loro operatività, oltre che sulla loro regolamentazione. In particolare, da uno sguardo ravvicinato su Piazza Affari risulta che oltre un terzo delle società quotate è partecipato da fondi sovrani (anche con quote sotto la soglia del 2%), contro una percentuale compresa fra il 15 e il 25% nei maggiori Paesi europei. In particolare i fondi sovrani detengono partecipazioni azionarie in 102 società italiane, pari al 35,6% del totale (il 2,2% sulla capitalizzazione di Piazza Affari). Per fare un confronto, nelle altre borse europee i fondi sovrani sono presenti in un numero maggiore di società: 172 in Francia, 174 in Germania, 400 nel Regno Unito, ma con un’incidenza inferiore (pari rispettivamente al 19, 16,5 e 24,6% del totale) e un peso superiore sulla capitalizzazione (2,6% in Germania, 3% nel Regno Unito), con l’eccezione della Francia (2%). Secondo la Commissione si tratta di stime decisamente al ribasso, poiché solo 11 fondi su 64 forniscono dettagli sulle loro partecipazioni. Tra i fondi sovrani più presenti in Piazza Affari c’è il Government Pension Fund della Norvegia che ha in portafoglio (dati a fine 2011) l’1,08% in A2A, l’1,46% di Generali, l’1,75% di Impregilo, lo 0,96% di Acea, l’,155% di Telecom e l’1,33% di Autostrada Torino-Milano. A fine 2011 i fondi sovrani gestivano un patrimonio 4.600 miliardi di dollari (più che raddoppiato dai 2 mila miliardi del 2007) che corrisponde a circa il 6% del pil mondiale. L’aumento del prezzo delle commodity ha consentito ai Paesi asiatici e medio-orientali di incrementare le risorse destinate ai fondi sovrani, mentre la svalutazione del dollaro li ha indotti a diversificare i portafogli, alleggerendo le posizioni in titoli di Stato Usa a favore dell’equity. Questo cambiamento nelle strategie di investimento e, in particolare, alcuni tentativi di acquisizioni di partecipazioni in imprese strategiche negli Stati Uniti, in Australia e in Germania, hanno suscitato un ampio dibattito nel mondo politico e finanziario. Se, infatti, l’operatività dei fondi sovrani può avere effetti positivi sui mercati, in termini di liquidità e stabilità, in conseguenza di una visione di investimento di lungo termine, ci sono anche aspetti potenzialmente negativi, come la scarsa trasparenza sulla composizione dei portafogli e gli obiettivi di investimento, il rischio di comportamenti che configurino abusi di mercato e il pericolo di investimenti motivati da ragioni politiche o strategiche dei governi gestori di Swf. Proprio questi timori hanno portato all’introduzione in alcuni Paesi (Stati Uniti e Australia) di normative nazionali, che consentono di monitorare con continuità i progetti di investimento dei fondi sovrani in imprese ritenute strategiche, con possibilità di porre condizioni, di sospenderne l’efficacia sino all’approvazione o, nei casi di minaccia grave agli interessi nazionali, di vietarli definitivamente. In Europa la possibilità degli Stati membri di creare limitazioni alla libertà di circolazione dei capitali, mette in evidenza lo studio della Consob, deve risultare compatibile con i principi del Trattato Ue e, in particolare, con quello che prevede il diritto dello Stato di porre restrizioni per tutelare la sicurezza o l’ordine pubblico nazionale. (riproduzione riservata)