SIMONA D’ALESSIO
Oltre 12 mila fallimenti rilevati nel 2011 (+7,4% rispetto all’anno procedente), mentre fra gennaio e marzo 2012 sono state già aperte più di 3 mila procedure per decretare l’entrata di un’impresa nello stato di crisi. Cifre, elaborate dall’osservatorio sulle crisi d’impresa di Cerved Group, che inducono ad interrogarsi sulla validità delle più recenti norme sull’insolvenza (a partire dalla legge 80/2005 e dal dlgs 5/2006, fi no ad arrivare alle modifi che introdotte dall’ultimo decreto per lo sviluppo, legge 83/2012, art. 32) che favoriscono un più consistente utilizzo degli strumenti negoziali alternativi alla fi ne dell’attività: il concordato preventivo innanzitutto, strumento in grado di salvaguardare l’operatività futura dell’azienda. E di dare una nuova chance all’imprenditore che si è ritrovato in cattive acque, «senza più il marchio infamante del fallimento». Della gestione dell’insolvenza si è discusso ieri pomeriggio a Roma, nella sede del Consiglio nazionale forense, dove il presidente Guido Alpa, aprendo i lavori del convegno, ha sottolineato come le nuove regole «privilegiano la continuazione dell’impresa, e utilizzano principi civilistici, l’autonomia privata ed il carattere negoziale delle procedure. Una angolazione », ha aggiunto, «interessante, per quanto, sotto il profi lo tecnico del testo, esprimiamo qualche preoccupazione». Secondo il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, «uno degli elementi cardine della riforma è aver ridotto l’area della fallibilità, poiché sono state introdotte delle soglie» economiche per la dichiarazione del «crac». Senza questi parametri (che escludono i piccoli imprenditori e gli enti pubblici, e riguardano, secondo la norma del 2006, «coloro che hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a euro 300 mila», ndr), aggiunge il numero due di palazzo dei Marescialli, «considerando gli effetti della crisi economico-fi nanziaria che stiamo attraversando, avremmo avuto in questa fase i tribunali sommersi da fascicoli di istanze fallimentari». Il legislatore, inoltre, è ancora l’opinione di Vietti, affronta la prospettiva di chi guida una realtà produttiva sia come debitore, sia come creditore, ma comunque «toglie qualunque marchio infamante, che permette alla persona che agisce in maniera corretta, non certo al bancarottiere, di riprendere successivamente l’attività senza essere bollata a vita» per un precedente insuccesso. Citando i dati sui fallimenti (che evidenziano un incremento più sostenuto nel Centro-Italia con +12,7%, mentre il Nordest registra una diminuzione delle procedure dell’8,8%), Aurelio Regina, vicepresidente di Confi ndustria, osserva con favore come le ultime norme, se le difficoltà imprenditoriali non si rivelano irreversibili, «puntano ad anticipare l’emersione delle situazioni di crisi, attraverso un maggior ricorso alle soluzioni negoziali», ovvero concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e piani di risanamento. © Riproduzione riservata