di Mauro Romano
Stop and go. L’atteggiamento del governo nei confronti della Banca d’Italia sembra variare di giorno in giorno, così se la scorsa settimana, stupendo tutti, l’esecutivo ha silurato un emendamento del senatore Luigi Grillo, mirato a togliere di mezzo la spada di Damocle della norma di legge che prevede il passaggio della proprietà dell’Istituto centrale dalle banche azioniste al Tesoro, ieri il governo è sceso in campo per stoppare la fioritura di emendamenti bipartisan al decreto spending review, che puntavano a togliere a Bankitalia i poteri di vigilanza sui fondi pensione che lo stesso decreto le aveva attribuito, cancellando la Covip. Ora è vero che, come spiega autorevolmente Angelo De Mattia qui a fianco, la norma che vuole fare del Tesoro l’azionista unico di Via Nazionale è inattuabile, mentre accettare il ritorno in vita della Covip sarebbe una clamorosa smentita di una decisione presa dal governo stesso non più di un mese fa, ma il differente atteggiamento della presidenza del Consiglio colpisce lo stesso. E a quanto risulta potrebbe non essere stato ininfluente l’allarme lanciato da questo giornale con i diversi articoli firmati da De Mattia, che tanto hanno indispettito Palazzo Chigi da spingerne qualche autorevole dirigente a protestare con Palazzo Koch, come se un commentatore stimabile e indipendente, qual è De Mattia, fosse solito scrivere sotto dettatura. Chiarito che così non è (si veda MF-Milano Finanza di sabato 28 luglio), resta l’inspiegabile ostinazione del Tesoro nell’insistere su una disposizione che dal 2005 non si riesce ad attuare. Fu Giulio Tremonti, infatti, a ideare in quell’anno un meccanismo per trasferire a costo zero il capitale dell’Istituto dalle casse di risparmio, che ne risultano azioniste per eredità storica, al Tesoro. A depositare la norma fu però il successore di Tremonti, Domenico Siniscalco, con un emendamento alla legge sul Risparmio. La formulazione approvata poi in Parlamento dava al ministero dell’Economia tre anni di tempo per emanare il decreto attuativo. Misura che non fu però emanata né da Siniscalco, né da Tommaso Padoa-Schioppa, né tantomeno da Tremonti nei suoi due ritorni a Via XX Settembre. Sarebbe stata quasi scontata, infatti, una raffica di ricorsi da parte delle banche e forse anche un’eccezione di costituzionalità, senza contare che anche l’Ue avrebbe potuto mettersi contro il trasferimento delle azioni, in nome dell’autonomia delle banche centrali (condizione che sta alla base dell’autonomia stessa della Banca europea). Se queste sono le premesse, non si spiega dunque il dietrofront di Palazzo Chigi e di Via XX Settembre, che dopo aver dato parere favorevole all’emendamento Grillo per bocca del sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo, hanno inviato in Commissione, al Senato, il capo dell’ufficio legislativo del ministero per dire che il ministro, ossia Vittorio Grilli, dava parere negativo all’emendamento soppressivo delle norme del 2005. A questo punto sono fiorite le interpretazioni: forse Grilli non se l’è sentita di cancellare del tutto una norma alla definizione della quale aveva comunque collaborato, da ragioniere generale prima e da direttore del Tesoro poi. O forse mantenere una spada di Damocle, inattiva, ma pur sempre presente, è una tentazione irresistibile per qualsiasi governo. L’allarme lanciato da MF-Milano Finanza e l’eco delle polemiche per il tentativo di mettere un silenziatore a De Mattia, però, hanno riacceso i riflettori e ieri l’esecutivo ha sbarrato la strada al progetto di resuscitare la Covip, un’idea che ha messo insieme soggetti di solito distanti, come la Cgil (e ovviamente gli altri sindacati) e l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ma che a Palazzo Koch vedono come il fumo negli occhi. Voci dentro al governo dicono che era importante rettificare il tiro, per non dare l’idea di un attacco alla Banca d’Italia, proprio quando non solo è importante remare tutti nella stessa direzione, ma il premier Mario Monti ha chiesto anche al governatore Ignazio Visco, in maniera assolutamente inconsueta, di partecipare alle riunioni del Comitato interministeriale di coordinamento economico. (riproduzione riservata)