ADRIANO BONAFEDE
Troppo piccoli per poter produrre reddito. Sono i nani del risparmio gestito: 95 gruppi su 116, cioè l’82 per cento del totale, si disputano soltanto il 10 per cento delle masse monetarie affidate loro dai risparmiatori. Dopo la denuncia del Governatore della Banca d’Italia, che nella sua ultima relazione ha ricordato che circa un terzo delle società di gestione del risparmio perde invece che guadagnare, arriva adesso una nuova ricerca effettuata dal commercialista milanese Uberto Barigozzi che, di fatto, spiega perché ciò avviene. (fonte: Assogestioni – Statistiche I trimestre 2011). Sono gli stessi numeri a dimostrare che non si può guadagnare quando le masse gestite sono troppo piccole. “Perché soltanto i costi fissi di struttura – spiega Uberto Barigozzi, titolare di uno dei più affermati studi di commercialisti milanesi che da oltre vent’anni si occupa di seguire gestori patrimoniali con un’attività di Multy Family Office incidono pesantemente nella composizione dei costi globali minimi per garantire la qualità ed il rispetto della normativa regolamentare. A questi si devono poi aggiungere i costi di uno staff adeguato per qualità e quantità a fornire il servizio. Se si va al di sotto di 500 milioni di attivi in gestione è dubbio che si possa garantire una sana redditività. “Infatti – spiega Barigozzi – la redditività media del settore parrebbe compresa fra lo 0,4 e lo 0,6 per cento delle masse under management. Il che significa che a fronte di 500 milioni di euro i ricavi globali saranno compresi tra i 2 e 3 milioni di euro. Troppo poco per coprire costi adeguati e assicurare redditività. Con riferimento alle statistiche si pensa che a fronte di 95 soggetti che costituiscono l’82% del totale dei gruppi rilevati dalla statistica Assogestioni, la media del gestito sia di 1 miliardo di euro. C’è poco da fare. Secondo questa ricerca, ci sono troppi galletti in questo pollaio, e per questo non riescono a “mangiare” a sufficienza. Ci sono, naturalmente, anche i big come Intesa Sanpaolo, Pioneer (Unicredit) e Generali: insieme, questi tre gruppi rappresentano quasi la metà del totale delle masse gestite: esattamente il 49 per cento per complessivi 493 miliardi( Cfr. Assogestioni statistiche 1 trimestre 2011). Ciascuno di questi tre gruppi ha quindi oltre 165 miliardi in gestione in media. Seguono altri 21 gruppi che si spartiscono una torta ridotta pari a 332 miliardi, corrispondente al 41 per cento del totale. Ognuno di questi gruppi del risparmio gestito ha in pancia poco più di 15 miliardi e mezzo l’uno. L’ultimo gruppetto dei minigestori, composto da 95 soggetti (parliamo sempre di gruppi e non di singole società) gestisce cumulativamente 179 miliardi. La media del pollo di Trilussa dice che ciascuno di questi gruppi ha meno di 2 miliardi di asset. Poiché questa è una media, probabilmente ci sono gruppi del risparmio gestito che hanno asset under management al di sotto di 500 milioni. Le implicazioni per le autorità di controllo sono estremamente chiare: come fanno alcuni di questi gruppi del risparmio gestito a sbarcare il lunario? È la stessa Banca d’Italia a quantificare in 1/3 del totale le società che chiudono l’esercizio in rosso. “Banca d’Italia e Consob – dice Barigozzi – ci pare stiano operando da tempo una sorta di moral suasion per incoraggiare le società più piccole a fondersi con altre per raggiungere una sufficiente massa critica. Temo però che la “moral suasion” non sia più sufficiente. Forse occorrerebbero regole d’ammissione più stringenti”. Tra l’altro il settore è in grande movimento. La norma comunitaria Mifid ha aperto le porte alla consulenza indipendente, che farà arrivare sul mercato nuovi operatori. “Ma non possiamo permetterci di avere dei piccoli artigiani in un mondo globalizzato, se non per nicchie particolari. Pensiamo a BlackRock, che ha 3,65 trilioni di dollari di asset under management, con 9.300 professionisti in 26 paesi e confrontiamolo anche con i nostri campioni del risparmio gestito, figuriamoci con i più piccoli”. Esiste poi il problema della qualità e dell’affidabilità. Il punto è che per competere in questo mondo globalizzato, per convincere chi ha dei soldi ad affidarteli, “hai bisogno almeno di poter essere in grado di assicurare informazioni di qualità in modo adeguato a livello globale. E certo non bastano pochi dipendenti e una piccola struttura per farlo, se non – come dicevo prima – per nicchie particolari”. Rimane il mistero di come molti piccoli gruppi dell’asset management possano sopravvivere anche perdendo: “È evidente – dice Barigozzi – che luna parte delle strutture che perdono possono far fronte alle perdite in quanto facenti parte di strutture più importanti (banche o players internazionali), che sono in grado di assorbire le perdite. La correttezza, almeno, è garantita dalla “mamma”. Ma se dietro non ci fosse tale istituzione a pagare, la qualità del servizio e dei controlli sarebbe inadeguata. Non possiamo permettercelo: non possiamo giocare con i risparmi della gente, e non si tratta più soltanto di Bot e Cct”. Per il prossimo futuro, le previsioni sono quelle di una ristrutturazione di tutto il settore con fusioni e accorpamenti da una parte e “separazione tra produzione e vendita”.