Le stime di raccolta 2011 delle assicurazioni diventano negative e la tempesta che ha colpito i titoli di Stato ha già prodotto minusvalenze nelle gestioni delle compagnie. Ma i clienti non fuggiranno dalle polizze
di Anna Messia
Le compagnie vita riusciranno a tenere la rotta nel mare agitato della finanza. Semplicemente perché vedere nero sul loro futuro significherebbe avere dubbi sulla tenuta dello Stato italiano. Insomma, non si può essere così pessimisti, sebbene solo rispetto a qualche settimana fa, i rischi e le incertezze siano aumentati parecchio. Non solo per le finanze dello stato italiano (costretto a una pesante manovra finanziaria, approvata in tempi record) ma anche per le compagnie di assicurazione che vendono polizze vita. Il loro destino, del resto, è incrociato a filo doppio con Bot e Btp. Il motivo è presto detto: la nuova raccolta delle compagnie vita è costituita quasi interamente da polizze tradizionali dopo che, a partire dal 2008, le polizze index- e unit-linked sono diventate un po’ demodé. Si tratta di quei prodotti che investono nelle cosiddette gestioni separate e garantiscono ai sottoscrittori la restituzione del capitale investito, più un rendimento minimo (e proprio per questo piacciono molto ai clienti poco propensi a investire in azioni). Ma per riuscire ad assicurare la protezione del capitale le polizze tradizionali investono la gran parte del patrimonio delle gestioni separate in titoli del debito pubblico italiano, a volte più dell’80%. Proprio i titoli al centro delle speculazioni degli ultimi giorni, che hanno molto allargato gli spread rispetto al Bund tedesco, riducendo sensibilmente il loro valore rispetto al passato, quindi creando minusvalenze latenti. A ciò si è aggiunto l’aumento dei tassi d’interesse di inizio luglio, e anche questo ha fatto scendere il valore dei titoli già in portafoglio. Ma sia ben chiaro, si tratta solo di minusvalenze latenti, almeno per ora. Se i titoli saranno portati a scadenza non ci sarà nessuna conseguenza negativa. Ma queste minusvalenze potrebbero diventare effettive se le compagnie fossero costrette a vendere i titoli presenti nelle gestioni nel caso in cui i clienti decidessero di liquidare le loro polizze Vita prima del tempo e non fossero rimpiazzati da nuovi sottoscrittori. Insomma, in caso di raccolta netta negativa. Ma, per ora, non c’è nessun allarme rosso. Anche se, come detto, i rischi sono aumentati considerando poi che la nuova raccolta Vita sta registrando una netta frenata rispetto allo scorso anno, con un andamento peggiore delle previsioni di inizio anno. L’Ania, l’associazione delle compagnie, per esempio, solo qualche mese fa ipotizzava che il settore Vita avrebbe chiuso il 2011 con una crescita della raccolta del 7-8%. E le attese più pessimistiche immaginavano un andamento stabile rispetto al 2010, che comunque era stato un anno boom anche grazie ai flussi arrivati dallo Scudo fiscale. Ma dopo la frenata del 23% del primo trimestre, a cui si è aggiunto un calo del 34% in maggio (quando sono stati raccolti 21 miliardi contro i 32 miliardi dello stesso periodo 2010), le stime degli analisti del settore sono state riviste tutte al ribasso. Come quelle di Emanuele Grasso, Partner financial services di PricewaterhouseCoopers, che inizialmente aveva previsto una crescita del ramo Vita nel 2011 compresa tra il 2 e il 4%, ma che oggi considera molto più probabile una contrazione del 5%. E se i dati di giugno, attesi nelle prossime settimane, non daranno segnali rassicuranti potrebbe esserci un ulteriore ritocco verso il basso. È vero che in genere la raccolta più consistente avviene verso la fine dell’anno. Ma è difficile tentare oggi di individuare elementi che possano fare da volano alla distribuzione delle polizze Vita e consentire al settore di recuperare buona parte della contrazione di inizio anno. Anche perché il comparto è in gran parte in mano alle banche che intermediano oggi più del 60% della raccolta. Per cui l’andamento delle vendite dipende più dalle scelte degli sportelli bancari che dalle compagnie di assicurazioni. E oggi gli istituti sembrano ancora piuttosto indaffarati a distribuire le proprie obbligazioni, utili a fornire liquidità al sistema bancario, rispetto alle polizze Vita. Come elemento positivo a favore del settore assicurativo, sottolinea però Grasso, «c’è il fatto che i clienti sono ancora molto attratti da investimenti che riescono a garantire un rendimento minimo e del resto, a meno di immaginare scenari foschi per le finanze italiane, la qualità degli attivi delle compagnie di assicurazione resta buona». Insomma, alla fine le polizze Vita dovrebbero scongiurare il pericolo più grave, ovvero la fuga dei sottoscrittori. L’unica che potrebbe mettere a rischio la tenuta del sistema costringendo le compagnie a ricapitalizzare, come è avvenuto già nell’ottobre 2008 quando il saldo tra minusvalenze e plusvalenze era negativo per 10 miliardi e i riscatti avevano superato le nuove sottoscrizioni per il 116%. «Oggi non sembrano esserci i presupposti per motivare una fuga dei risparmiatori dalle polizze Vita, come quella avvenuta nel 2008 quando ci fu una pioggia di riscatti che colpì le index linked (conseguente al crac Lehman, ndr)», sostiene Grasso, «e del resto sul mercato non ci sono molte alternative alle polizze tradizionali per i risparmiatori a lungo termine in cerca di sicurezza». E anche il rischio che aleggiava sulle compagnie Vita, cioè di dover aumentare il capitale in conseguenza del nuovo sistema europeo di vigilanza prudenziale Solvency II, sembra per ora scongiurato. Anche perché appare sempre più probabile un rinvio rispetto alla partenza inizialmente fissata per gennaio 2013. Ma proprio l’incertezza su tempi e modi «sta frenando il riassetto del settore», conclude Grasso, «con il congelamento delle operazioni di fusione e acquisizione». (riproduzione riservata)