La discesa del mercato ha accompagnato l’ampliamento del differenziale Btp-Bund, che ha superato il 3% Con l’eccezione del marzo 2009, indice Ftse Mib di nuovo ai minimi storici. Ma gli scambi non sono esplosi 

di Lucio Sironi e Raffaele Ricciardi

Avevano ragione quanti sostenevano che il peggio non era ancora alle spalle? A guardare l’andamento dell’indice di Piazza Affari si può azzardare un sì. Dalla metà del 2007, quando è esplosa la crisi americana dei prestiti subprime con tutto quanto ne è seguito, l’indice Ftse Mib non era mai sceso così in basso, fatta eccezione per quei 40 giorni tra metà febbraio e fine marzo 2009 in cui la curva dell’azionario ha oltrepassato quota 18 mila giungendo fino a 13 mila per poi tornare rapidamente a 20 mila.

 

Con il senno di poi fu una ghiottissima occasione di acquisto. Ma quando ci si trova in mezzo alla tempesta, per un investitore è già un piccolo successo non farsi prendere dal panico precipitandosi a vendere. Come andrà a finire questa volta, con il Ftse Mib che ieri ha perso un ulteriore 3,96% (dopo aver raggiunto una perdita massima giornaliera del 4,9%), dopo il 7,15% della settimana precedente, non è dato sapere. Ma toccando ieri quota 18.295 l’indice di Piazza Affari, reduce da un massimo relativo lo scorso febbraio a 23 mila, si è riportato a un livello di minimo storico per incrociare il quale, con la sola eccezione che si è detto, occorre risalire a prima del 1997.

Il sintomo di timori ampiamente giustificati o l’effetto perverso di una grande manovra speculativa che ha messo nel mirino in particolare l’Italia? Molti esperti propenderebbero per quest’ultima ipotesi, ma giusta o sbagliata che sia la piega ribassista imboccata dai mercati, resta la difficoltà di capire fino a quando e quanto potrà proseguire.

 

Il martello su cui battono le vendite trova un chiodo concreto, quello degli alti livelli di indebitamento di alcuni Paesi europei che vedono ampliarsi giorno dopo giorno i loro differenziali sui credit default swap (cds). L’Italia è tra i Paesi più colpiti, con lo spread sui cds a cinque anni che ha raggiunto il record di 301 punti base, 50 in più rispetto alla chiusura di venerdì. Ma altri Paesi periferici registrano lo stesso fenomeno: +30 pb la Spagna a quota 344, +26 il Belgio a 199, +97 pb il Portogallo a 1.110, +93 pb l’Irlanda a 995 (Dublino è accreditata come possibile prossima vittima del taglio del rating a spazzatura). E anche le altre borse hanno reagito di conseguenza, con Lisbona che è scivolata del 4,3%, Atene del 3,5%, Parigi del 2,7 e Madrid del 2,6%, Francoforte del 2,3%, Zurigo dell’1,6 e Londra dell’1%. Sullo sfondo anche l’indebolimento dell’euro, arrivato a 1,39 sul dollaro, livello che molti osservatori considerano l’inizio di una discesa più consistente nella guerra che contrappone l’esigenza di finanziamento del debito pubblico americano a quello europeo e richiama le non trascurabili difficoltà che anche il governo Usa sta affrontando per contenere il proprio disavanzo.

Alla luce del risultato di Piazza Affari, a poco sembra essere servito il provvedimento della Consob per contenere le vendite allo scoperto fino al 9 settembre (obbligatorio comunicare le posizioni ribassiste quando queste raggiungono una posizione netta corta uguale o superiore allo 0,2% del capitale della società; in seguito l’obbligo scatta per ogni variazione pari o superiore allo 0,1%). Ma ieri l’autorità di vigilanza ha dovuto riconoscere che, almeno in prima analisi, a determinare le pronunciate flessioni di molti titoli del listino milanese, bancari in prima fila, non sono state le vendite allo scoperto. Segno che quella che circola tra una parte degli investitori è paura vera, anche se può consolare il fatto che gli scambi non siano lievitati mantenendosi attorno a 3,15 miliardi di euro rispetto ai 3,4 miliardi di venerdì. Certo, ieri in alcuni momenti la fretta di sbarazzarsi delle posizioni sui titoli italiani ha riportato alla memoria il crack Lehman Brothers e i suoi effetti a lento rilascio che hanno sconvolto le piazze finanziarie tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Il grado di preoccupazione di fronte all’esplodere degli spread dei rendimenti Btp rispetto al bund tedesco minaccia continuamente di degenerare. Alcuni investitori esteri, tra cui fondi pensione, starebbero riducendo le loro posizioni di lungo periodo sui titoli di Stato italiani essendo venuta meno la fiducia nell’Italia e nel suo debito pubblico. Ragion per cui un segnale forte è atteso dal governo, sollecitato dai partner europei (si vedano gli articoli seguenti) a portare avanti e rendere definitive al più presto le misure previste nella manovra finanziaria. Da parte sua l’opposizione ha chiesto a Berlusconi e Tremonti la disponibilità a ritirare la fiducia annunciata sul provvedimento per correggerlo con un’operazione redistributiva che però non tocchi i saldi finali. Una linea su cui concordano anche i sindacati.

 

Sul listino tutti in forte perdita i bancari a partire da Intesa Sanpaolo (-7,7%) eUnicredit (-6,3%), entrambe sospese a metà seduta. Rosso acceso anche perCredem (8,5%), Bpm (-6,4%), Mps (-4,5%), Mediobanca (-4,2%) Banco Popolare (-3,5%) e Ubi (-2,8%). Ieri il membro del consiglio direttivo della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, ha esortato comunque le banche italiane a portare avanti il processo di ricapitalizzazione: «In Italia la correlazione tra cds sulle banche e sul debito sovrano è elevata», ha detto, «perché gli istituti di credito detengono grandi quantità di debito sovrano e una bassa capitalizzazione». Male i titoli del risparmio gestito come Azimut(-7,4%), Mediolanum (-6,3%) e gli assicurativi come Generali (-4,6%) mentre FonSai si è mossa in controtendenza registrando uno dei pochi rialzi del listino (+1,6%) forse per effetto di ricoperture dopo i forti cali delle ultime settimane in concomitanza con l’aumento di capitale. A Piazza Affari però le vendite si sono estese anche ai titoli industriali, fin qui una sorta di baluardo per gli investitori in azioni. Telecom Italia è arretrata del 5,5%, Fiat del 5,4% colpita dalla raccomandazione di vendita di SocGen,Parmalat del 4,1% a chiusura dell’opa di Lactalis, Mediaset del 3,8%, vittima indiretta della condanna di Fininvest nella vicenda Lodo Mondadori, che peraltro non ha giovato alla stessa beneficiaria, la Cir di Carlo De Benedetti, crollata a sua volta del 7,2%. Per trovare spunti di ottimismo bisogna guardare oltrefrontiera, dove nella tromerntata giornata di ieri il colosso elvetico Nestlé ha offerto 1,7 miliardi di dollari per acquisire il controllo del produttore di caramelle Hsu Chi Fu. Si tratta di una delle maggiori operazioni mai realizzate sul mercato cinese.

 

 

In serata l’effetto contagio del debito europeo ha fatto sentire comunque i suoi effetti anche a Wall Street, dove l’indice Dow Jones ha perso l’1,3% e il Nasdaq il 2%. Entro il 2 agosto il Congresso deve trovare un accordo sull’aumento del debito, altrimenti Washington non sarà in grado di rispettare i rimborsi sul debito pubblico e gli Usa, per la prima volta nella loro storia, diventerebbero insolventi. Il presidente Barack Obama, impegnato nella ricerca di un accordo il più ampio possibile, ha ricordato che è in gioco la credibilità dell’America. Senza l’intesa sull’aumento del tetto «si innescherebbe un’altra recessione e «milioni di persone si troverebbero senza lavoro». A dividere democratici e repubblicani c’è l’aumento delle tasse per i redditi più elevati. Obama si è detto pronto a fare tagli su difesa e sanità, ma ha chiesto che anche i repubblicani siano pronti a fare compromessi «come li faccio io». (riproduzione riservata)