Sentenza di primo grado per il crack della società alimentare. Unicredit dovrà versare 200 mln di provvisionale L’ex presidente Banca di Roma confida nell’appello. Per i suoi legali la decisione mina il rapporto banca-impresa
di Andrea Di Biase
Nove anni di reclusione per Sergio Cragnotti e 4 anni per Cesare Geronzi. Così hanno deciso, dopo oltre dieci ore di camera di consiglio, i giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, presieduta da Giuseppe Mezzofiore, al termine del processo per il crack Cirio. Le richieste dei pubblici ministeri Gustavo De Marinis, Tiziana Cugini e Rodolfo Sabelli, erano state più severe. Per Cragnotti i pm avevano chiesto una condanna a 15 anni, mentre per l’ex presidente di Generali, Mediobanca e Banca di Roma la richiesta era stata di 8 anni. Trentacinque erano complessivamente gli imputati accusati, a seconda delle posizioni, di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, oltre che di truffa. Tra i condannate ci sono anche il genero di Cragnotti, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi) e i figli dell’ex patron della Cirio: Andrea (4 anni la pena), Elisabetta (3 anni) e Massimo (3 anni). Assolti invece la moglie di Cragnotti, Flora Pizzichini, e l’ex ad della Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani, per i quali i pm avevano chiesto una pena di 6 anni. Nonostante la proposta di transazione presentata nelle settimane scorse, Unicredit, entrata nel processo come responsabile civile in virtù dell’incorporazione di Banca di Roma, è stata condannata a pagare, in solido con gli imputati ritenuti colpevoli, una provvisionale di 200 milioni. Fondi che dovranno essere messi a disposizione dell’amministrazione straordinaria e che serviranno a rimborsare in parte i 13 mila risparmiatori rimasti travolti dal crack. «È una sentenza in cui prevale il contenuto economico rispetto a quello giuridico.Lo dimostra la condanna al risarcimento di entità smisurata che fa capire come il Tribunale abbia prestato più attenzione alle vittime del default Cirio che alla condotta tenuta in concreto dagli imputati. Stupisce che i giudici non siano riusciti a distinguere l’attività dei banchieri del tutto esterna a Cirio da quella che si è sviluppata all’interno del gruppo», ha commentato l’avvocato Ennio Amodio, che difende Geronzi assieme a Paola Severino. Per quest’ultima, in particolare, la sentenza di condanna dell’ex presidente di Banca di Roma e degli ex funzionari dell’istituto capitolino, Pietro Locati (3 anni e 6 mesi), Antonio Nottola (3 anni e 6 mesi) e Michele Casella (3 anni), rappresenta un precedente che rischia di compromettere il rapporto tra sistema bancario e imprese in crisi. «Non nascondo», ha detto l’avvocato di Geronzi, «la delusione e un pizzico di preoccupazione per il mio assistito e per le banche il cui rischio di impresa, alla luce di questa sentenza, può assumere anche un rilievo penale». Dal canto suo, il banchiere romano, che è stato assolto invece dall’accusa di bancarotta preferenziale, ha ribadito di essere «tranquillo» e di «avere agito correttamente, nell’ambito delle responsabilità statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito. Per questa ragione e per la fiducia che nutro nella magistratura», ha affermato Geronzi, «confido che in sede di appello come è già accaduto in un’altra circostanza del genere, l’ulteriore, ponderata riflessione consentirà di fare piena chiarezza e di riconoscere l’assoluta non colpevolezza del mio comportamento». All’appello guarda con fiducia anche la difesa di Cragnotti. «Siamo in presenza di una pena modesta rispetto alle richieste avanzate dai pm della procura. Speriamo in appello di poter portare avanti le nostre ragioni perché il reato di bancarotta si può consumare anche in un singolo episodio», ha commentato Massimo Krogh, uno dei difensori dell’ex patron del gruppo agro-alimentare. (riproduzione riservata)