APPALTI

Autore: Massimo Francesco Dotto e Gerardo Granato
ASSINEWS 365 – Luglio-Agosto 2024

Col recente parere di precontenzioso, n. 159 del 26.3.2024, l’Autorità Nazionale Anticorruzione e per Valutazione e la Trasparenza delle amministrazioni pubbliche ha svolto una serie di considerazioni in merito al comportamento che la stazione appaltante deve adottare qualora l’impresa aggiudicataria sia colpita da una informazione interdittiva antimafia.

A tal proposito, l’Autorità ha in primo luogo rilevato un raccordo tra la disciplina del codice antimafia e quella del codice dei contratti pubblici, assente nel previgente codice del 2006, chiarendo che le situazioni valorizzate nel codice antimafia ai fini dell’adozione della documentazione antimafia costituiscono cause di esclusione dalla gara e non solo impedimenti alla stipula del contratto.

Invero, l’articolo 80 comma 2, d.lgs. 50/2016, in tema di possesso dei requisiti generali sancisce che “Costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di ragioni di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall’articolo 67 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, del medesimo codice”.

Di conseguenza, l’Autorità ha evidenziato che il riferimento inequivocabile alla documentazione antimafia avente effetto interdittivo non lascia margini di discrezionalità alla stazione appaltante per ipotizzare eventuali esclusioni basate su proprie valutazioni.

Alla luce della considerazione per cui “uno dei principi più rilevanti negli appalti è quello del la continuità nel possesso dei requisiti, che devono essere posseduti a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e permanere per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica”, l’ANAC si è definitivamente pronunciata sull’obbligo, in capo alla stazione appaltante, di conformarsi al provvedimento interdittivo prefettizio e annullare l’aggiudicazione in autotutela, anche se l’esito dell’informativa interdittiva sia sopraggiunta alla medesima.

Ma, stante quanto sopra chiarito, ci si è spesso chiesto quali fossero i rapporti tra interdittiva antimafia ed escussione della garanzia definitiva da parte della stazione appaltante.

La terza sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 392, depositata in data 12.1.2024, ha affermato che l’art. 103 del codice dei contratti pubblici impone che sussistano due condizioni al ricorrere delle quali la stazione appaltante è legittimata a riscuotere la cauzione definitiva: (i) che vi sia un inadempimento contrattuale imputabile all’aggiudicatario e (ii) che risulti, allo stesso tempo, pregiudizievole per l’amministrazione. Ebbene, secondo quanto chiarito dal Consiglio di Stato, nell’ipotesi di risoluzione intervenuta a causa del factum principis costituito dal sopravvenire di un provvedimento pubblicistico interdittivo, risulta evidente che la ragione di impedimento opera dall’esterno del contratto, precludendone l’ulteriore corso.

In antitesi rispetto al pregresso orientamento giurisprudenziale sul tema, con la sentenza suddetta, il Consiglio di Stato ha sottolineato che l’interdittiva antimafia non rientra tra le cause legittimanti l’escussione della garanzia definitiva previste dal citato art. 103 (si veda il comma 2, nel quale è indicato come la stessa cauzione possa essere trattenuta solo qualora l’amministrazione debba rivalersi per la maggiore spesa sostenuta in ragione dell’inadempimento di controparte ovvero debba provvedere al pagamento di quanto dovuto sempre dall’esecutore in ragione di inosservanze delle regole contrattuali).

Inoltre, pur volendo ricondurre l’interdittiva all’inadempimento di cui all’art. 103 del Co dice dei contratti pubblici, deve essere sottolineato come la cauzione definitiva, considerabile come garanzia reale generica destinata a soddisfare le pretese, anche risarcitorie, vantate anche dalla stazione appaltante per l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, potrebbe operare nei limiti del pregiudizio effettivamente subito, che dunque va dimostrato.

In sostanza, deve essere esclusa l’escussione della garanzia definitiva in via automatica basata sulla risoluzione per la sopravvenuta interdittiva prefettizia, la quale attribuirebbe alla stessa una funzione sanzionatoria che risulterebbe estranea all’istituto e tale da configurare l’indebito arricchimento della stazione appaltante.

Più in generale, l’interdittiva antimafia è una misura priva di portata sanzionatoria che prescinde da qualsivoglia colpevolezza dell’impresa colpita, trovando giustificazione in fondamentali esigenze di contrasto preventivo della criminalità organizzata.

Tale impostazione, che peraltro assicura la compatibilità dell’eccezionale strumento interdittivo con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, finirebbe per essere sostanzialmente disattesa laddove si equiparasse automaticamente, ai fini della disciplina sulla cauzione definitiva, il caso dell’inadempimento colpevole dell’appaltatore e quello dell’impossibilità di eseguire la prestazione per il sopraggiungere di un’interdittiva antimafia.

In questo modo, infatti, si finirebbe per attribuire alla stessa quella base di colpevolezza che fonda la disciplina sull’inadempimento delle obbligazioni e che dovrebbe, invece, rimanere estranea, per evidenti ragioni di coerenza sistematica, rispetto ad una fattispecie che non ha natura sanzionatoria perché non colpisce un illecito (quale, invece, è l’inadempimento delle obbligazioni in senso civilistico), configurandosi quale misura preventiva di contrasto della criminalità organizzata.


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